
Prima di analizzare nello specifico l’Archivio Storico Diocesano di Fabriano-Matelica, credo sia importante sottolineare l’importanza di queste istituzioni culturali per la Chiesa cattolica, sia per la preziosa ed immensa documentazione in essi contenuta, sia perché essi costituiscono un mezzo di trasmissione del patrimonio documentario dalle generazioni passate, alle presenti e alle future.
Per conoscere e comprendere le dinamiche che hanno portato all’origine e allo sviluppo degli archivi ecclesiastici in qualità d’istituzioni culturali, è necessario conoscere le tappe storiche più significative che hanno segnato l’attività della Chiesa e, in particolare, le attività delle chiese locali.
La Chiesa, come le singole città e gli enti, sentì fin dal principio la necessità di organizzare propri archivi nei quali riporre e custodire le regole e le testimonianze della sua capillare attività e della prassi pastorale da essa per secoli praticata.
In essi dovevano essere conservati gli scritti più importanti al fine di divulgare la sua azione nel mondo: libri sacri, atti dei concili e dei sinodi, costituzioni riguardanti la fede, i costumi e il culto ecclesiastico. Aspetti, questi, che sono parte integrante non solo della sua stessa storia, ma della complessiva storia italiana nelle sue molteplici e svariate attività umane riguardanti la sfera civile, istituzionale, politica e amministrativa, economica, sociale, religiosa, giuridica, fiscale, culturale, artistica ecc…
Gli archivi ecclesiastici permettono, quindi, di comprendere l’intrinseco legame tra i due aspetti, quello storico e quello spirituale, presenti entrambi nella vita della chiesa.
PACE COSTANTINIANA
Una data fondamentale è, senza dubbio, il 313 d. C. (pace Costantiniana). Dopo di allora, cessate le preoccupazioni per le persecuzioni religiose che avevano consigliato di non conservare per precauzione gli atti, si accumula un numero consistente di documenti, attestanti per lo più donazioni alla Chiesa, possessi, privilegi, acquisti e libri di amministrazione.
Si parla di veri e propri “mucchi di atti” in quanto nessuna autorità ecclesiastica dà indicazione sull’ordinamento degli stessi, tanto meno leggi che obbligano a conservarne alcuni anziché altri.
Il primo archivio della Chiesa romana risale, infatti, al IV secolo, quando Papa Giulio I° ordinò di raccogliere tutti gli atti riguardanti le donazioni della Chiesa.
San Girolamo chiama l’archivio della Chiesa di Roma “Chartarium ecclesiae romanae”.
Le invasioni dei popoli barbari che distrussero l’Impero Romano d’Occidente, furono catastrofiche anche per gli archivi ecclesiastici; la barbarie di questi popoli, infatti, non riusciva a concepire il loro valore per la vita sociale. Solo con il tempo anch’essi impararono dalla Chiesa, che intraprese la loro cristianizzazione e la loro educazione civile, l’uso di conservare i documenti.
Gli archivi ecclesiastici, all’inizio con i libri sacri e i documenti di carattere strettamente religioso, continuarono ad esistere anche nei tempi più duri e, accanto al solito materiale, accolsero i privilegi, i documenti di acquisti, di legati, di possessi e libri di amministrazione.
Oltre gli archivi della Chiesa di Roma e altre sedi arcivescovili e vescovili, ebbero grande importanza per tutto il Medioevo gli archivi monastici che, ancora oggi, conservano preziose raccolte di pergamene, cartulari e codici.
Furono, infatti, i monaci che, sotto la direzione dei Papi, cominciarono e, per lo più, ultimarono l’evangelizzazione dei popoli barbari e la loro educazione civile.
Per lungo tempo, però, non si hanno al riguardo né indicazioni, né leggi che obbligano a conservare certi documenti; ognuno si lasciava guidare dal proprio buonsenso.
I primi Concili provinciali e Sinodi diocesani, che danno prescrizioni intorno agli inventari dei beni della Chiesa per conservarne le proprietà, sono del XIV secolo, ma non abbiamo ancora nessuna legge generale in materia di archivi ecclesiastici.
CONCILIO DI TRENTO
Una svolta decisiva si ebbe circa due secoli più tardi, intorno alla metà del Cinquecento, con il Concilio di Trento che iniziò i suoi lavori nel 1545 e li concluse nel 1563.
Perché soffermarsi sul Concilio di Trento? Perché non solo influenzò la diffusione e la qualità del materiale bibliografico che si andava producendo, ma apportò novità significative in campo archivistico con la formazione degli archivi parrocchiali.
Nell’ultima sessione, datata 11 novembre 1563, il Concilio impose ufficialmente ai parroci l’obbligo di redigere libri parrocchiali battesimali e matrimoniali.
È da segnalare al riguardo l’opera del cardinale S. Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, il quale si occupò in modo significativo degli archivi ecclesiastici in diversi Sinodi e ordinò di istituirne presso quelle chiese che ancora ne erano prive. Dette indicazioni su come dovevano essere compilati gli inventari dei beni delle singole chiese e norme precise sulla custodia degli archivi.
I decreti pubblicati da S. Carlo Borromeo in materia archivistica, furono confermati da Papa Pio V con la Bolla “Inter omnes” del 6 giugno 1566.
BENEDETTO XIII “MAXIMA VIGILANTIA” 1727
Sull’esempio di S. Carlo Borromeo, agli inizi del Settecento, precisamente nel 1727, operò con successo Vincenzo Maria Orsini, arcivescovo di Benevento che, divenuto papa col nome di Benedetto XIII, con la pubblicazione della famosa costituzione “Maxima vigilantia”, diede vita ad un vero e proprio trattato di archivistica. In essa si prescrisse, non solo l’erezione degli archivi diocesani, parrocchiali e religiosi in genere, ma si diedero anche delle norme sull’ordinamento e sulla custodia di essi.
La “Maxima vigilantia” impose entro sei mesi:
- L’erezione degli archivi, se formalmente assenti, presso tutta la serie degli enti ecclesiastici: diocesi, capitoli di chiese cattedrali e collegiate, monasteri e conventi di qualsiasi ordine e istituto, maschili e femminili.
- L’indicazione di alcune precise serie da tenere e conservare nei medesimi enti, predeterminando l’archivio corrente, offrendo indicazioni per quello storico.
- Una serie di adempimenti a vario livello, dal catalogo e dall’inventario, alla custodia a doppia chiave, dall’ispezione visitale all’istituzione di un archivista, fino al recupero delle scritture distratte o disperse e alla tutela degli atti, con la redazione dell’inventario di trasmissione.
La costituzione “Maxima vigilantia” servì come base per l’elaborazione della legislazione archivistica attuale contenuta nel Codice di Diritto Canonico del 1918.
CODICE DI DIRITTO CANONICO 1918
Dal 19 maggio 1918, il Codice di Diritto Canonico in uso nella Chiesa latina, si interessa assai diffusamente degli archivi diocesani dando, per la prima volta nella storia della Chiesa, norme archivistiche generali valevoli per tutti gli archivi ecclesiastici.
Prima di ogni cosa il Codice prescrive l’erezione degli archivi là dove non ci sono:
- Le diocesi;
- Le cattedrali;
- Le collegiate;
- Le parrocchie;
- Le confraternite;
devono avere i loro archivi con locali che, secondo il Codice, devono essere di soltanto due parole: “in loco tuto”, luogo sicuro per assicurare il materiale archivistico da tutti i pericoli, sia di ordine biologico (parassiti, topi), sia di ordine fisico (terremoti, alluvioni, incendi).
Il Codice, inoltre, prevede che i documenti contenuti all’interno degli archivi debbano essere custoditi con la massima cura e facilmente accessibili alla consultazione da parte degli utenti.
Chiunque interessato ai documenti contenuti può consultarli ed ottenere una copia, purché essi non siano segreti.
ARCHIVIO DIOCESANO COMUNE
Il Codice di Diritto Canonico distingue l’archivio diocesano comune dall’archivio diocesano segreto.
L’archivio diocesano comune deve essere un luogo sicuro e comodo, facilmente accessibile alla consultazione, dove l’archivista, che è il cancelliere, ha il compito di custodire, ordinare le carte e compilare gli indici dei documenti che vi si trovano. In esso sono depositati gli atti riguardanti l’attività diocesana, sia spirituale che materiale.
L’archivio diocesano comune è pubblico, perciò i suoi documenti possono essere dati in visione o in copia agi interessati; senza il permesso del Vescovo o del Vicario generale nessuno può portare i documenti fuori dall’archivio, anche se per breve tempo.
ARCHIVIO DIOCESANO SEGRETO
Oltre l’archivio diocesano comune, ogni Diocesi deve possedere anche l’archivio diocesano segreto, custodito possibilmente in un locale a parte o, almeno, in un armadio chiuso e inamovibile dell’archivio comune.
Soltanto il Vescovo ne ha la chiave. In esso si custodiscono, con estrema cautela, tutti quei documenti che devono essere conservati sotto segreto o sono dichiarati tali dal Codice.
Il Codice richiede di tenere come segreti:
- Il libro delle dispense e sopra le irregolarità occulte;
- Il libro delle dispense dagli impedimenti matrimoniali segreti;
- Il libro dei matrimoni di coscienza;
- I documenti delle cause criminali in materia morum.
NASCITA DELLA DIOCESI FABRIANO-MATELICA
Nell’ordinamento ecclesiastico, la diocesi è quel territorio ben definito nella sua estensione e nei suoi confini, che viene governato da un Vescovo con podestà ordinaria secondo le norme del Diritto Canonico. Essa prende il nome dal luogo dove è ubicata la chiesa Cattedrale e dove è la residenza abituale dello stesso Vescovo. Il nome diocesi, dal greco governo e amministrazione, deriva dal diritto pubblico romano: il termine, usato dall’imperatore Diocleziano, indicava un gruppo di province governato da un vicario dei prefetti del Pretorio.
La storia della città e territorio di Fabriano è unita a quella della chiesa di Camerino, alla cui estesa circoscrizione Fabriano apparteneva dalle origini per tutta l’età medioevale fino al XVIII secolo quando, con la Bolla “Inscrutabili Aeterni” del 15 novembre 1728, Benedetto XIII la costituì sede vescovile unita a Camerino e la elesse formalmente a città.
Circa cinquant’anni più tardi, Pio VI, con la bolla “Saepe factum est” dell’8 luglio 1785, rese Fabriano autonoma, ricostituendo la sede vescovile di Matelica unendola a Fabriano, con un unico vescovo: il Vescovo di Fabriano-Matelica.
Dovremmo attendere il 30 settembre 1986, precisamente il decreto emesso dalla Congregazione dei Vescovi, nell’ambito della riorganizzazione delle circoscrizioni diocesane d’Italia, che sancì definitivamente l’unione delle diocesi, rendendola unica, con l’attuale denominazione Diocesi Fabriano-Matelica, con sede a Fabriano.
ISTITUZIONE DELL’ARCHIVIO STORICO DIOCESANO FABRIANO-MATELICA
In data 14 febbraio 1990, con decreto vescovile del Mons. Luigi Scuppa, è stato istituito l’Archivio Storico Diocesano di Fabriano-Matelica che, tutt’oggi, è conservato presso un edificio attiguo all’episcopio, sito in Piazza Giovanni Paolo II, nel quale viene conservata anche la biblioteca diocesana.
L’attuale deposito è costituito da un’ampia sala sulle cui pareti perimetriche sono state addossate quattro imponenti scaffalature metalliche; altri tre armadi metallici, dotati di griglie, sono ubicati al centro della stanza.
L’Archivio Storico Diocesano, che abbraccia un arco di tempo che va dal XIII secolo fino agli inizi del XX secolo, è composto da diversi fondi:
- Il fondo del capitolo della Cattedrale di Fabriano;
- Il fondo del capitolo di San Niccolò;
- Il fondo del Seminario Vescovile di Fabriano;
- Il fondo della curia e cancelleria vescovile di Fabriano;
- Diversi fondi parrocchiali, di cui diversi, appartenenti a parrocchie soppresse, tanto cittadine, quanto della Diocesi;
- Fondi di confraternite, compagnie e pii sodalizi soppressi (quello della Confraternita del Sacconi di Fabriano e quello della Confraternita del Suffragio di Fabriano),
- Alcuni fondi di conventi e monasteri, alcuni dei quali appartenenti ad enti religiosi soppressi;
- Il fondo dell’Associazione Cattolica di Fabriano.
BIBLIOGRAFIA
– Codice di Diritto Canonico. Testo ufficiale e versione italiana, Unione Editori Cattolici Italiani, Roma 1983.
– S.Duca, B.Pandzic´(a cura di), Archivistica ecclesiastica, Città del Vaticano, Tipografia Etruria, Civitavecchia 1967.
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– A.Moroni, A. Anelli, N. Anghinetti, Archivi ecclesiastici e registri parrocchiali, Università degli Studi di Parma 1986.
– A.Turchini, Archivi della Chiesa e Archivistica, Editrice La Scuola, Brescia 2011.
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