di Terenzio Baldoni
Come un dono caduto dal cielo, dopo l’8 settembre 1943, giunse del tutto casualmente in città il tenente Egidio Cardona, a casa chiamato confidenzialmente “Gigi”, in onore di un suo zio[1]. Fu lui a dare la spinta decisiva alla Resistenza fabrianese, in quel momento ancora nella complessa fase di superare sia il trauma dell’invasione tedesca che dei primi bombardamenti, come anche il muro delle divisioni ideologiche, dandosi un’organizzazione unitaria sul piano politico e militare[2].
Era nato a Reggio Calabria il 25 novembre 1918, ottavo di dieci figli, in una famiglia di elevata condizione sociale. Suo padre Antonio era un energico funzionario di prefettura, la madre, Giulia Tropea, apparteneva invece a una delle trentatré famiglie nobili di Reggio Calabria[3].
Diplomatosi maestro, nel 1938 si iscrisse alla facoltà di lingue all’Università Orientale di Napoli. Allo scoppio della guerra, il giovane Cardona dovette lasciare gli studi per arruolarsi nell’esercito. Fu inviato a Zara, in Jugoslavia, dove rimase tre anni.
In questa località venne a trovarsi anche l’8 settembre 1943 e qui seppe dell’armistizio[4]. Dopo aver appurato che era stata interrotta la comunicazione con Trieste e che i tedeschi erano ormai nemici, infine che il retroterra jugoslavo era avverso a causa dei partigiani e che l’unica via di salvezza era rappresentata dal mare, si imbarcò fortunosamente su una nave di soldati, portando con sé una moto abbandonata “Gilera 500”, nuova fiammante, targata Regio Esercito[5]. Insieme al cavallo “Hitler”, regalatogli da Bartolo Chiorri, e a un’Aprilia nera, fu il suo mezzo di trasporto preferito, a cui però dovette rinunciare quando fu costretto a muoversi a piedi tra i monti[6].
Giunti in Ancona, i soldati vennero fatti salire sui camion in partenza per Fabriano, dove c’era una base logistica dell’Esercito Italiano. Cardona, con la Gilera, non perse tempo e si aggregò alla colonna.
Per la libertà personale
Giunto in città da alcuni giorni, al tenente Cardona (che subito si distinse per un “certo suo spirito dartagnanesco” e per la bellissima moto di cui era proprietario) venne affidata l’importante missione di recarsi in Ancona (occupata dai tedeschi) e di farsi consegnare dai superiori (imprigionati nella caserma) un assegno da distribuire ai soldati della base fabrianese[7].
L’azione, seppure in modo fortunoso, ebbe esito positivo e la somma in denaro venne divisa tra i soldati e gli ufficiali.
Verso il 18 settembre 1943 l’esercito tedesco giunse anche nell’entroterra e occupò Fabriano[8]. Nella caserma Spacca restarono i pochissimi soldati impegnati nei servizi particolari e i soliti fatalisti.
Il generale Cardona ha ricordato[9] di aver compreso, a quel punto, che era giunta l’ora di drastiche decisioni e che doveva pensare di difendere la propria libertà. Per qualche giorno fu ospitato in città da una vedova (il fascino sulle donne sarà un altro tratto distintivo in questi suoi nove mesi di permanenza nel fabrianese[10]), che gli fornì anche un abito civile del marito e gli consigliò di recarsi nella vicina e più sicura Collamato, ospite di una famiglia di sua conoscenza. Quei poveri contadini (definirà i marchigiani “gente meravigliosa”[11]) lo accolsero con affetto e simpatia.
Le prime azioni
In quei giorni a Collamato passarono molti soldati sbandati, diretti perlopiù in Calabria, in Sicilia, in Sardegna. Le loro condizioni erano davvero penose. Egidio Cardona, mosso dalla solidarietà, si diede molto da fare per convincere i suoi commilitoni a fermarsi temporaneamente a Collamato[12].
Questa situazione durò qualche giorno, fin quando si accorsero di costituire un onere gravoso. Oltretutto era in gioco la sicurezza dei paesani. Divenne prioritario il problema dei rifornimenti alimentari.
Il caso volle che a Collamato fosse sfollato un macellaio di Fabriano, soprannominato “il Fattoretto”, con la moglie Elena. Costui ed Egidio Cardona fecero un patto. Prevedeva che il tenente, con la moto Gilera, doveva accompagnare il macellaio nelle campagne vicine per l’acquisto degli animali, poi doveva aiutarlo nella mattazione, infine doveva portarlo a Fabriano per vendere la carne. In cambio, il macellaio avrebbe fornito a lui e agli sbandati le frattaglie e il necessario per tirare avanti. Il rischioso rapporto di collaborazione con Cardona terminò circa dopo due mesi.
Il giovane ufficiale decise, infatti, di rendersi indipendente e di costituire un gruppo di 15-20 uomini armati per combattere militarmente i repubblichini e i nazisti. Gli fu dato il nome “Tigre”, aggressivo come il comandante[13], ma con la testa sempre sul collo: “Non ho mai usato la violenza a sangue freddo, né ho mai messo le mani addosso ai prigionieri. Così nacque la mia leggenda”[14], ciò dichiarò Cardona nell’intervista rilasciata nel 2003 all’Istituto di Storia Marche. Ma ciò fu anche uno dei motivi di maggior distanza con la parte più intransigente del movimento partigiano, che gli rimproverava l’eccessiva moderazione[15].
Due furono le difficoltà che subito il gruppo Tigre dovette affrontare: in primo luogo occorrevano le armi e loro disponevano solo di un paio di pistole, oltre ad un certo numero di uomini coraggiosi disposti a obbedire ai suoi ordini.
In secondo luogo bisognava entrare in collegamento con il nascente CLN di Fabriano, essendo il giovane tenente un emerito estraneo e non conoscendo persone di fiducia che potessero garantire per lui[16].
Al riguardo dovette superare delle prove, dopo le quali riuscì a mettersi in contatto con il “fino allora cauto” CLN e avere gli indispensabili aiuti logistici per la sua formazione, quanto mai necessari per la vita di montagna in quel freddissimo inverno del 1943[17].
Divenne amico di Engles Profili, di Armando Fancelli, di Andrea Roselli, di Bartolo Chiorri, i quali, nonostante la differenza di idee (Cardona non fu mai comunista, tanto meno democristiano, forse un liberale leale con la Corona[18]) considerò sempre “persone dotate di una grande carica di umanità, il cui orientamento politico era originato da una naturale idealistica ribellione a certi soprusi di cui erano stati testimoni”[19].
Le azioni del gruppo Tigre suscitarono subito grande impressione per la loro temerarietà, come quella del 28 gennaio 1944, quando, per reperire le armi, attaccò la caserma dei repubblichini, alloggiati in pieno centro, nell’edificio adiacente il loggiato XX Settembre[20]. Essa fu resa possibile grazie alle informazioni date spontaneamente a Egidio Cardona da due giovani fascisti, i quali lo consigliarono di irrompere la sera stessa nella caserma e di prendere senza colpo ferire tutti i militi, che si erano sbronzati in seguito a un banchetto. Cosa che puntualmente avvenne. Altrettanto goffa fu la risposta dei fascisti, che si precipitarono a Collamato, senza tuttavia sparare un colpo. Tutto si risolse in un conflitto di intenzioni, da cui ebbe inizio, forse, la fortuna e il grande prestigio di Gigi e del suo “gruppo Tigre”[21].
Una questione d’onore
Grossi problemi, invece, gli vennero dal folto gruppo di montenegrini che fu costretto ad aggregare al suo gruppo in località San Cataldo di Esanatoglia, dove per ragioni di sicurezza Cardona e i suoi uomini furono consigliati dal CLN di spostarsi[22].
In tale luogo vennero crudamente uccisi due soldati tedeschi, da considerarsi prigionieri di guerra, la cui vita era dunque sacra. Venuto a conoscenza dell’assassinio, dopo un’aspra discussione, riuscì a far allontanare gli slavi, da lui considerati gente priva di ogni scrupolo e di sentimenti anti-italiani[23]. Ciò non impedì, come era prevedibile, la durissima rappresaglia tedesca (con morti) contro i cittadini di Esanatoglia che scattò di lì a qualche settimana.
Sempre a proposito degli slavi, non va dimenticato che i protagonisti della rapina subita dai fratelli Latini, a Marena, nel marzo del 1943, furono anch’essi perlopiù slavi e Bartolo Chiorri non li fucilò “solo per ragioni di equilibri interni al gruppo Lupo”[24].
Egidio Cardona seppe poi da alcuni informatori, forse in seguito a questi fatti, che alcuni elementi del gruppo Lupo, è da ritenere la sua componente più radicale, volevano ucciderlo, non condividendo affatto la sua idea di intendere la guerriglia, cioè di “piegare non di sopprimere”, e perché – inutile nasconderlo – malgrado tra i due comandanti ci fosse una reciproca stima, tra i due gruppi c’erano profonde differenze sul piano ideologico e sul modo di operare[25].
In tal senso, è da prendere in considerazione la testimonianza di Arnaldo Ciani[26], anche lui un militare, ideologicamente vicino a Giustizia e Libertà, nonché comandante di un gruppo partigiano attivo tra Genga e Arcevia, che cercò di mettersi in contatto con Cardona e che ha evidenziato come le divergenze con altri colleghi operanti nella stessa zona – lui cita come emblematico il caso del “rastrellamento del monte sant’Angelo” – fossero non tanto di natura politica, ma sull’operatività, se non tecnica, militare vera e propria.
Problemi di altro genere, invece, ebbe con i 15 inglesi e americani (7 ufficiali e 8 soldati) affluiti nella sua formazione.
Gli spostamenti del gruppo Tigre di Cardona
I partigiani di Cardona divennero utili alla Resistenza quando iniziarono i lanci Alleati di armi e di vettovagliamento sul monte Catria, dalle parti di Sassoferrato, che permise loro di reggere il peso del durissimo inverno del 1943-‘44 e di concretizzare i primi sabotaggi a strade e ponti strategici, come pure di progettare le azioni militari.
In questo modo contribuirono a far passare la lotta, nella zona montana, dalla fase difensiva a quella offensiva[27].
Non mancarono in questo periodo altri pericoli per il gruppo, costituiti dai falsi patrioti che effettuavano rapine, come nel caso della banda ladresca di un certo Antonio Cardone. Costui, con i suoi amici, spacciandosi per il patriota Cardona, rubava ai poveri contadini i pochi averi che essi possedevano. Se incontrava resistenza, prendeva tutto ciò che voleva con la forza. Alcuni suoi uomini vennero acciuffati e trascinati dai partigiani da un paese all’altro per essere puniti, pubblicamente, in modo esemplare.
Non mancarono anche le avventure amorose e gli episodi romantici. Degna di nota è quella che Gigi ebbe con una bella donna, nobile d’origine, che abitava nella zona di Sassoferrato. Si conobbero casualmente. Da quel giorno nacque tra i due una storia amorosa che terminò con la partenza di Cardona da Fabriano, avvenuta subito dopo la Liberazione[28].
Da Piaggiasecca a Pascelupo
Appena iniziarono i capillari rastrellamenti della primavera il gruppo Tigre si trasferì da Piaggiasecca a Pascelupo di Scheggia.
Il tenente Biagio Cristoforo narra nei suoi “Cuori Partigiani” che “nel 1944 Pascelupo era abitato da circa trenta famiglie e che diventò il rifugio dei partigiani grazie alle donne, le quali alla bellezza accoppiavano la bontà”. Però anche Pascelupo divenne pericoloso per i partigiani di Cardona, costretti a fuggire per le foreste del monte Cucco. Il nemico invase tutta la zona, le spie pullulavano, la morte e il terrore erano fatti quotidiani: il 9 giugno Vincenzo Cascio, Ugo Bianchetti, Drago Petrovic, vennero barbaramente uccisi nei pressi di Piaggiasecca, guidati dalle spie Antonio Cardone e Luigi “il Neozelandese”[29].
Prima di loro, nella Pasqua del 1944, il gruppo Tigre aveva perso Alessandro Orsi. Dopo di loro, il 9 luglio, nella fitta boscaglia di Vallina, il gruppo rimase orfano di Algemiro Mei, Umberto Silvestrini, Attilio Silvestrini, Giacomo Ciampigali, Olgar Marinoscky. Sulle lapidi poste lungo la strada che conduce al monte Cucco e nel paese di Vallina figurano, separatamente, anche i nomi di Narciso Romitelli (pure lui del gruppo Tigre) e di Vincenzo Serafini (un civile).
Verso la Vallina
Il gruppo Tigre finì a Vallina per maggiore sicurezza oppure non è da escludere che Cardona pensasse di entrare a Fabriano, con gli Alleati, da una posizione più favorevole. Qui, con l’avvicinarsi degli angloamericani alle Marche, i patrioti si sistemarono nella fitta boscaglia del monte Testagrossa. Gigi Cardona scelse di nuovo, forse, la soluzione “più guerriera e più imprudente”[30]. Invece di confondersi tra la popolazione o disperdere gli uomini, nell’imminenza di uno scontro frontale tra due eserciti, costituì una sorta di caposaldo difeso da un’esigua fascia di mine anti-uomo.
La sera del 4 luglio 1944 un amico avvisò i partigiani dell’arrivo di una colonna someggiata tedesca. Il comandante Cardona, in un primo momento, ordinò di difendere la postazione, ma appena comprese che i tedeschi disponevano dell’artiglieria e che stavano piazzandola, ordinò ai suoi uomini la ritirata verso la parte alta della montagna. La salita del monte con le armi fu massacrante e durò tutta la notte. All’alba riuscirono a raggiungere la cima del monte Testagrossa, dove si erano portati frattanto anche i tedeschi, che erano passati per Sigillo, accerchiando tragicamente i partigiani in fuga sotto la pioggia e uccidendo tre civili in località “Trocchi del Borghetto”[31].
L’incontro con Peniakoff
Scampò fortunosamente alla morte Egidio Cardona, che riuscì a fuggire portandosi verso Esanatoglia, dove incontrò per la prima volta l’ufficiale britannico Wladimir Peniakoff, detto “Popskj”[32].
Peniakoff era nato in Belgio da genitori russi. Aveva combattuto in Africa e in Italia, operando in modo autonomo con un gruppo di soldati scelti.
Il generale Cardona ha raccontato che “in Inghilterra egli é considerato tutt’oggi un eroe nazionale. Il gruppo comandato da Peniakoff era denominato ‘Popskj’ o ‘Popskj private army’, cioè esercito personale di Popskj. Con l’ufficiale inglese ebbi uno scambio rapido di informazioni che riguardavano le postazioni inglesi nella zona di Gualdo Tadino. Subito dopo concordammo un’azione militare per neutralizzare il posto d’osservazione tedesco, che era stato disposto in una casa isolata che dava sulla Flaminia”[33].
La perfetta riuscita di questa azione evidenziò l’intraprendenza di Cardona, che Popskj nominò ufficiale di collegamento con i partigiani. Per il giovane sottufficiale calabrese iniziò una nuova vita.
Popskj libera Fabriano
Wladimir Peniakoff, a sua volta, scrive nel suo “Corsari in jeep”, che dai rapporti del capitano Yunnie concluse di tentare la liberazione di Fabriano, passando per il tunnel ferroviario che collegava l’Umbria con Fabriano.
Mentre il Capitano Yunnie distoglieva i tedeschi a nord-ovest di Gubbio, Peniakoff cercò di sgomberare il tunnel ostruito con rottami di carri ferroviari: “Frattanto avevo mandato osservatori nella città, in particolare un partigiano, Gigi Cardona, ex ufficiale dell’esercito italiano, che Yunnie aveva reclutato da qualche tempo e che era divenuto un elemento molto brillante della sua pattuglia. Una notte, quando giudicai dai rapporti di Cardona che fosse giunto il momento inviai Reeve-Walker con dieci jeep sulla piazza principale di Fabriano; a mezzogiorno la città era nostra, lasciando la via sgombra perché l’VIII Armata avanzasse e venisse a prendere la città in consegna da noi”[34].
Cardona arriva a Venezia con Popskj
Con la liberazione di Fabriano del 13 luglio e la partenza di Cardona con gli Alleati, alla volta di Ravenna, il gruppo Tigre si sciolse definitivamente e consegnò le armi.
Egidio Cardona, frattanto, insieme a Wladimir Peniakoff giunse a Ravenna, riuscendo a salvare dalla distruzione Sant’Apollinare in Classe.
Dopo pochi giorni, per l’esattezza il 9 dicembre 1944, durante un violento scontro a fuoco con le truppe nemiche, sia Peniakoff che Cardona restarono gravemente feriti e costretti ad un lungo periodo di inattività. Il primo subì l’amputazione della mano sinistra, mentre l’altro subì la perforazione del polmone con una pallottola.
Una volta dimesso dall’ospedale, Gigi Cardona, il 25 maggio 1945 si unì in matrimonio con Francesca Paola Zangara, da cui sono nati tre figli: Antonio, Giulia, Giuseppina.
Nello stesso tempo Peniakoff, a cui si era ormai cicatrizzata la grave ferita, ritornò in Italia nell’aprile del 1945, al comando dell’VIII Armata.
Nella zona di Chioggia, Cardona e il valoroso Popskj si incontrarono di nuovo e insieme entrarono, forse per primi dopo la liberazione, in piazza San Marco a Venezia, facendoci il giro per sette volte[35].
Terminata la guerra, Egidio Cardona ha continuato la professione militare di carriera, ottenendo quattro decorazioni al valore militare, di cui due medaglie d’argento con le seguenti motivazioni: la prima per aver partecipato alla guerra di liberazione, in cui “Il suo nome ha conquistato nella zona fama di leggenda”[36], la seconda per aver salvato la vita a un superiore e “per aver tenuto alto fra gli Alleati il prestigio delle armi italiane”. Per tali motivi ha avuto una promozione in servizio permanente.
Gigi Cardona, definito forse un po’ troppo ingenerosamente un “irrequieto”[37] da Bartolo Ciccardini nella sua postuma “Valle nascosta” del 2015, ha raggiunto la pensione nel 1975 in qualità di carrista, con il grado di Generale di Corpo d’Armata. Nel 2005 la città di Fabriano gli ha concesso, finalmente, la cittadinanza onoraria, che a suo dire fino allora non gli era stata concessa perché considerato erroneamente “un comunista”[38].
È deceduto nel 2006. Nella citata intervista del 2003 sostenne che “la correttezza dei partigiani non deve essere diffamata, perché compirono la loro scelta come atto di servitù verso la patria. Alcuni uomini in malafede diedero ingiustamente delle responsabilità ai partigiani. Era una vigliaccheria che raccontavano al prossimo”.
[1] F.Donati, Il partigiano Gigi, “Quadrante” (Rivista per le Forze Armate), nn. 10-17-18, Roma 1971.
[2] A.Fancelli e G.Tizzoni, Relazione dei rappresentanti al Comitato di Liberazione del Partito d’Azione di Fabriano, Fabriano, 3 settembre 1944; poi: P.Pavoni, I repubblicani fabrianesi nel movimento di Giustizia e Libertà, Fabriano, 10 agosto 1966. Entrambi i memoriali di Fancelli-Tizzoni e Pavoni fanno parte dell’archivio personale di Terenzio Baldoni. Quindi: O.Biondi, Tragico e glorioso 1943. Il 25 luglio e l’8 settembre a Fabriano, “Il Progresso”, Settembre 1973; Don Pietro Ragni, La guerra per Fabriano volle dire questo. Povera Fabriano risorgerà, “L’Azione”, 11 luglio 1984.
[3] Intervista a Egidio Cardona (a cura di T.Baldoni), Roma, 15 Ottobre 1990.
[4] F.Donati, Il partigiano Gigi, cit.
[5] Ibidem.
[6] T.Baldoni, Appunti di storia della Resistenza/36, Egidio Cardona, il partigiano Gigi, “Il Progresso”, n.21/90, pag. 5.
[7] Ibidem.
[8] Ibidem.
[9] F.Donati, Il partigiano Gigi, cit.
[10] Ibidem. Quindi: T.Baldoni, Appunti di storia della Resistenza/37. Gli spostamenti del gruppo Tigre di Cardona, “Il Progresso”, n.22/90, pag. 5.
[11] Intervista a Egidio Cardona (a cura di Istituto Storia Marche), Roma 2003.
[12] B.Cristofaro, Cuori partigiani, “Sole”, Roma 1949 (copia del testo fu consegnato da Egidio Cardona a Terenzio Baldoni quando lo intervistò a Roma, ormai in pensione, nel 1990. Successivamente Alvaro Rossi, già presidente dell’Anpi di Sassoferrato e appassionato studioso delle tematiche resistenziali, ne rinvenne una copia nei mercatini di Porta Portese. Lo fece ristampare, con un’ampia e documentata appendice che riguardava i protagonisti del gruppo Tigre – così fu denominato il gruppo di Cardona per la sua aggressività e audacia – e della Resistenza nel Fabrianese. Per l’occasione, venne organizzata una manifestazione nel Comune di Sassoferrato, a cui partecipò anche la vedova dello stesso Cristofaro).
[13] ANPI, La resistenza nell’anconitano, Ancona 1963.
[14] Intervista a Egidio Cardona (a cura di Istituto Storia Marche), Roma 2003.
[15] Ibidem.
[16] Ibidem.
[17] Ibidem.
[18] Ibidem.
[19] Ibidem. Quindi: A.Fancelli, Fabriano democratica e antifascista non dimentica i suoi eroici figli, “Il Progresso”, 21 aprile 1965. Repubblicano, fu tra i fondatori a Fabriano del Partito d’Azione in clandestinità. Durante il ventennio, Fancelli fu più volte perseguitato e arrestato. Presidente della cooperativa di consumo dei cartai, provvide sovente al vettovagliamento dei partigiani in montagna. Fu presidente del CLN e fece parte della prima Amministrazione comunale dopo il 13 luglio 1944. In seguito passò al partito socialista.
[20] B.Cristofaro, Cuori partigiani, cit. Quindi: D.Chiorri Profili, Aspetti e sviluppi della resistenza nel fabrianese, Università di Urbino (tesi di laurea), a.a. 1966-1967; Movimento operaio e Resistenza a Fabriano 1884-1944, Argalia Editore Urbino, Arti Grafiche Gentile, Fabriano 1976; A.Fancelli, Relazione del Comitato di Liberazione Nazionale di Fabriano, Fabriano, 1 novembre 1957 (archivio personale di Terenzio Baldoni);
[21] T.Baldoni, Appunti di storia della Resistenza/36, Egidio Cardona, il partigiano Gigi, cit.
[22] Ibidem.
[23] R.Giacomini, I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana, in “Storia e problemi contemporanei”, n.57, a. XXIV, maggio-agosto 2011.
[24] C.Canavari, Stille di morte e di martirio, Arti Grafiche Gentile, Fabriano, 1958; quindi: V.Franca, Protagonista della Resistenza, “L’Azione”, 11 febbraio 1995; T.Baldoni, Fabriano ricorda la liberazione e l’eccidio dei fratelli Latini, Comune di Fabriano 2006.
[25] Intervista a Egidio Cardona (a cura di Istituto Storia Marche), cit.
[26] A.Ciani, Aspetti militari della Resistenza armata nell’Anconitano, in M.Salvadori, L’antifascismo e la Resistenza nelle Marche (Atti della Giornata di studi in ricordo di Max Salvadori (Ancona 5 dicembre 1992), ISMDRM, Tipolitografia U.T.J., Jesi 1993.
[27] Movimento operaio e Resistenza a Fabriano 1884-1944, cit.; quindi: V.Franca, Cospirazione antifascista. Costituzione della prima cellula giovanile comunista nell’anno 1940 e lotta armata contro il nazifascismo, in www.englesprofili.it; Fabriano nell’oppressione fascista, Speciale “Il Progresso” 50 anni dei comunisti fabrianesi, 1971; Terenzio Baldoni, La Resistenza nel Fabrianese – Vicende e protagonisti, il lavoro editoriale, Ancona 2002.
[28] Terenzio Baldoni, Appunti di storia della Resistenza/37. Gli spostamenti del gruppo Tigre di Cardona, cit.
[29] B.Cristofaro, Cuori partigiani, cit.; Movimento operaio e Resistenza a Fabriano, 1884-1944, cit.
[30] F.Donati, Il partigiano Gigi, cit.
[31] L.Galassi, 4 luglio 1944-Eccidio nazista ai Trocchi del Borghetto, “Il Paese sul Vetorno”, Anno 2, N. 7, Luglio 2000; quindi: T.Baldoni, Sui fatti di Vallina. La verità storica del 4 luglio 1944, “L’Azione”, 3 ottobre 2010.
[32] V.Peniakoff (Popski), Corsari in jeep, Garzanti, Milano 1951.
[33] T.Baldoni, Appunti di storia della Resistenza fabrianese/38, “Il Progresso, n.23/90, pag. 5.
[34] V.Peniakoff (Popski), Corsari in jeep, cit.
[35] T.Baldoni, Appunti di storia della Resistenza fabrianese/39, Cardona arriva a Venezia con Popsky, “Il Progresso, n.24/90, pag. 5.
[36] Intervista a Egidio Cardona (a cura di Istituto Storia Marche), cit.
[37] B.Ciccardini, La valle nascosta, Centro Studi don Giuseppe Riganelli, Fabriano 2015.
[38] Intervista a Egidio Cardona (a cura di Istituto Storia Marche), cit.