di Mirella Cuppoletti
Premessa
Il termine abbazia indica una particolare forma di aggregazione monastica riferita esclusivamente all’Ordine Benedettino e a tutte le sue filiazioni. Un’abbazia è un comprensorio territoriale la cui giurisdizione è di esclusiva pertinenza dell’Abate e dei suoi monaci, senza alcuna altra forma di soggezione che non sia alla Santa Sede.
Si tratta di un vero e proprio feudo che può possedere a sua volta priorati e chiese sottoposte; è un organismo con le sue leggi e la sua economia, con la sua politica e il suo apparato organizzativo.
L‘Abbazia di S. Croce degli Atti di Sassoferrato è incastonata alle pendici dell’omonimo monte, luogo di preistorici insediamenti umani, come dimostrano la scoperta, nel 1956, di un laboratorio di vasi fittili dell’epoca neolitica con annesso forno di cottura.
Queste antiche pietre convivono con la nostra quotidianità ed emanano ancora echi di lontani canti gregoriani, ombre di severi uomini incappucciati, clamori di saccheggi e fughe, sfilacciate trame di intrighi e tradimenti. Sicuramente difficile è tentare di offrire un’immagine quanto più aderente possibile delle enormi implicazioni sociali, politiche, economiche dell’organizzazione di questa abbazia ed estremamente complesso risulta entrare nel suo silenzioso mondo e nel vivacissimo dibattito culturale condotto all’interno di essa.
Restringendo il contesto cronologico tra Ottocento e Novecento le vicende di S. Croce si identificano con la storia della Congregazione Camaldolese Cenobita[1] in essa dimorante. Ciò significa affrontare i drammi che questa Congregazione monastica ha subito nel corso di questo periodo, dalle soppressioni dell’età napoleonica, da quelle legate all’Unità Nazionale fino alla soppressione del 1935.
Con queste parole Alberico Pagnani stigmatizza le vicende dell’epoca: “Questo è il secolo che ha visto le peggiori sventure delle comunità religiose. Due soppressioni dai loro chiostri ai pacifici abitatori, li spogliano del loro abito, li privano della casa, dei beni immobili, dei libri e di gran parte delle loro suppellettili e delle opere d’arte, come se fossero gli esseri più nocivi della società[2].”
La nascita della Congregazione Camaldolese Cenobita
La nascita della Congregazione Camaldolese Cenobita si afferma in un clima di riforma monastica mirante a raggiungere una propria autonomia rispetto al Sacro Eremo di Camaldoli e risale al 1474, come è documentato nella bolla di Sisto IV, In Suprema militantis del 5 dicembre 1474[3].
L’anno 1616 viene indicato come il momento in cui la congregazione assume la sua struttura definitiva chiamandosi “Congregazione dei cenobiti di San Michele di Murano”. In quell’anno si delinea la divisione tra i due settori dell’ordine: cenobiti e eremiti. Le case della Congregazione si trovavano soprattutto nell’Italia centro-settentrionale ed il provvedimento di Papa Paolo V le divide in quattro province: romana, toscana, marchigiana e veneta. All’inizio del Seicento si contavano 500 religiosi, dopo la metà del XVIII secolo se ne registrano 335. A fine secolo il numero dei monaci era sceso a 305[4].
Due ipotesi possono essere prese in esame per interpretare tali dati: in base alla teoria di Alberto Gibelli[5], che diverrà abate generale tra la fine dell’Ottocento e inizio del Novecento, la flessione del numero dei monaci è riconducibile alle difficili condizioni economiche della congregazione dovute alla pressione fiscale della curia romana e dei governi preunitari. Giuseppe M. Croce[6] ritiene la situazione economica essere sicuramente una ragione valida per giustificare la diminuzione numerica, in quanto non permetteva di mantenere un alto numero di postulanti, ma non l’unica causa. Sono da considerare ugualmente determinanti gli influssi dovuti ai mutamenti culturali e politici che si diffondono con l’affermarsi dell’Illuminismo[7].
La cultura dei Camaldolesi Cenobiti
La Congregazione Camaldolese Cenobita ha elaborato una grande eredità culturale nei centri di S. Michele di Murano, Classe di Ravenna, S. Gregorio al Celio, S. Maria degli Angeli, dove vengono istituite ricche biblioteche di opere a stampa, di codici, di pergamene. Alla congregazione appartengono monaci con ottima formazione culturale, che hanno reso viva la cultura italiana e quella europea, come Pietro Canneti, Guido Grandi, Angelo Calogerà, Mauro Sarti, Gianbenedetto Mittarelli, Guido Ignazio Ivo, Anselmo Costadoni, Giammaria Ortes, Ambrogio Soldani, Isidoro Bianchi. Cenobiti sono i docenti universitari a Bologna, Pisa, Padova, Firenze. D. Mauro Sarti viene incaricato da papa Benedetto XIV di redigere la storia dell’Ateneo di Bologna, opera portata a termine da d. Mauro Fattorini[8].
A questa illustre storia partecipa anche il monastero di S. Croce, che diviene camaldolese con una Bolla Pontificia del 1612. La Bolla decreta che la nuova famiglia sia indipendente dal Commendatario.
Vengono dati ai monaci orti, vigne e quattro chiese, che portano una rendita di 400 scudi all’anno e pagano al Commendatario ogni anno 10 scudi d’oro. Uomini dotti hanno abitato nel monastero, come Pier Vittorio Ercolani, che scrisse una vita di S. Romualdo; l’abate D. Angelico, dotto in lingua ebraica; D. Cipriano Artusini, celebre matematico, preposto dal Papa alla costruzione delle mura di Roma; inoltre scrive “De Architettura militare et domestica” e muore a S. Croce nel 1655. D. Alessandro Morosi, Lettore e Priore, nel 1770, scrive le “Memorie di S. Croce[9].”
Età delle soppressioni.
Nel corso del Settecento la comunità deve sostenere, oltre le ingenti spese per restauri dei fabbricati, pesanti tassazioni imposte della Santa Sede. Nel 1746 papa Benedetto XIV obbliga a pagare parte del debito statale per la somma di 500 scudi in 18 anni. Nel 1781 un violentissimo terremoto a Sassoferrato provoca enormi danni al monastero.
Mentre nel sec. XVIII la politica dei despoti illuminati ha soppresso alcune case dei religiosi, Napoleone elimina gli Ordini Religiosi stessi. Il monastero di S. Croce è soppresso due volte:1798 e 1810. Il 18 maggio 1798 per opera della Repubblica Romana, alla quale era stata annessa la provincia di Ancona; in quella occasione i monaci vengono allontanati, nudi di tutto e senza pensione. Al riguardo il Comune di Sassoferrato ordina l’inventario dei beni del Monastero di S. Croce e il Commissario Cabellini lo controlla.
S. Croce è spogliata di danari, oggetti di oro e argento, orologi e biancheria e altre cose. Vengono inoltre consegnati due buoi per la truppa. Quando il Camerlengo D. Mariangelo Bonarelli, col servo Ubaldo Paglia, si recano al comando per chiedere il prezzo, vengono ambedue fucilati. Altre 12 persone di riguardo vengono fucilate a Sassoferrato[10]. Nel giugno avviene la definitiva soppressione del Monastero, la quale durò un anno come la Repubblica stessa.
Il 23 giugno 1799 i monaci tornano ai loro monasteri, in breve rinasce una piccola famiglia sotto la giurisdizione dell’Abate di Fonte Avellana. Il 10 giugno 1808 Sassoferrato viene annesso al Regno Italico. In città si formano bande contro i francesi, i quali reagirono con dura violenza. L’ufficiale Bagniol nell’agosto arriva a Sassoferrato e lo saccheggia. Per S. Croce è una nuova soppressione, decretata il 25 aprile 1810.
Un delegato del Comune Cesauri Girolamo ne controlla l’amministrazione.
Nel novembre i beni del Monastero vengono demaniati e ai religiosi viene assegnata una pensione. Per due anni i monaci rimangono in monastero, poi l’ordine di abbandonare lo stabile. Resta in abito secolare l’anziano don Flaminio Biobbi, il quale per interposta persona aveva preso in affitto un appartamento del monastero.
Dalla soppressione napoleonica si riprende subito, grazie al sostegno di Fonte Avellana che è stata risparmiata dal Bonaparte, e con pochi religiosi ha riavuto una famiglia religiosa osservante. Per provvedere al suo sostentamento vengono acquistati parecchi poderi. In questa fase di ricostruzione fondamentale è stata la sapiente opera di Albertino Bellenghi[11].
Il Bellenghi nel 1802 viene eletto abate di Santa Croce, l’anno seguente di Fabriano e nel 1805 di Fonte Avellana. Durante la soppressione napoleonica il Bellenghi rimase con speciale concessione nel suo monastero a Fonte Avellana dove si dedicò a studi chimici e geologici.
I monaci Camaldolesi rientrati nella comunità sono 76, altri 50 tornano alla vita laica.
Il monastero viene riaperto il 2 dicembre 1821 con cinque sacerdoti e 3 conversi, riavendo la dotazione demaniata, cioè sette poderi.
Alla morte di papa Leone XII, il 2 febbraio 1831, dopo 50 giorni di conclave Mauro Cappellari[13], monaco camaldolese cenobita, diviene Papa con il nome di Gregorio XVI. Come sostiene G. M. Croce “Si può anzi affermare che proprio nei sedici anni del pontificato gregoriano ebbe luogo la vera e propria restaurazione dell’istituto cenobitico camaldolese, quantomeno sul piano materiale.”[14]
Nel 1833 il Capitolo Generale tenuto a S. Pietro di Gubbio unisce S. Croce a Fonte Avellana sotto la guida dell’abate D. Rodesindo Saviotti, il quale assolve anche la funzione di governatore di S. Croce, dove rimangono il parroco Bravi con due conversi. Nel 1843 il monastero ottiene di nuovo la sua autonomia con un suo superiore, il parroco Rosa. Nel 1844 papa Gregorio XVI finanzia i lavori di restauro ed il monastero ritorna a fiorire.
Arriva l’Unità D’Italia con le conseguenti soppressioni: dal 1861 tutte le Congregazioni dei Cenobiti Camaldolesi, essendo in Italia soltanto, furono stroncate.” Quanto alle parrocchie non furono soppresse, ma i beni furono assoggettati alla vigilanza governativa, le congrue furono molto limitate e le proprietà monastiche vendute a prezzi irrisori. Lo Stato si ingerì nella nomina dei parroci col celebre “Regio Placet”[15].
Il 3 giugno 1861 un decreto del Commissario delle Marche sopprime la Comunità di S. Croce e quindi anche il monastero. Ai religiosi viene assegnata una pensione di £ 500 annue ai sacerdoti, £ 300 ai conversi.
Resta solo il parroco D. Alfonso Viscogliosi, mentre gli altri monaci tornarono a casa, eccetto d. Gregorio Salvatori, che va a Fonte Avellana, risparmiato dalla soppressione “per il motivo del culto di Dante[16].”
Nel 1882, avendo il comune di Sassoferrato messo all’asta il monastero di S. Croce, i Cenobiti camaldolesi lo riacquistano per £ 6.000. Riprendono nell’autunno del 1884 i lavori di restauro del monastero, aggiungendo delle nuove camere per abitazione dei monaci nella parte che riguarda il piazzale della chiesa. Era superiore e governatore D. Gabriele Michelangeli.
Nel 1885 S. Croce è dichiarata casa di noviziato, poi nell’ottobre del 1889 lo stesso noviziato viene trasferito a Fonte Avellana; a Sassoferrato rimane il professorio. Maestro era d. Ramiro Festi. La filosofia è insegnata da d. Giuseppe De Angelis.
Nel 1904 don Ramiro Festi è superiore di S. Croce. Vengono acquistati nuovi terreni contigui al monastero per sostenere la congregazione composta da circa una quarantina di monaci e coristi, con 6 conversi. Nel 1906 nasce a S. Croce la Confraternita dell’Addolorata.
Nel clima del modernismo Pio X approva il 5 maggio 1907 una nuova ratio studiorum:
Il nuovo programma di studi approvato nella primavera 1907 costituisce una svolta fondamentale nella formazione del clero in Italia: infatti esso stabilì che il corso degli studi in tutti i seminari italiani doveva fondarsi su ginnasio, liceo e teologia, e per il ginnasio e il liceo assunse come traccia i programmi delle scuole italiane, opportunamente adattati per mezzo di limitate modifiche. Questa importante scelta nasceva dalla necessità di confutare l’immagine largamente diffusa di arretratezza culturale dell’insegnamento impartito nei seminari, che peraltro trovava grande riscontro nei fatti[17].
In base alle nuove direttive Don Alberico Pagnani viene incaricato di compilare il Regolamento per i giovani professi e gli viene assegnato l’incarico di Prefetto degli Studi.
L’impegno profuso all’interno del monastero nella formazione dei giovani monaci si coniuga con una gestione dell’Amministrazione molto oculata e mirante a sostenere e rafforzare il sentimento religioso nella comunità di Sassoferrato: “ogni anno si crea un sindaco che raccoglie grano-granoturco e formaggio con l’aggiunta delle questue fatte in chiesa, con le quali si pagano le spese per la festa di S. Antonio, S. Vincenzo, S. Lucia, più l’ottavario dei morti e altre messe. Una parte era riservata al Culto e alla festa di S. Pietro e S. Antonio da Padova[18].”
Nel 1913 don Vincenzo Barbarossa[19] viene nominato Abate Generale.
Il 5 novembre 1913 si riaprono le scuole, mentre la Santa Sede richiede di stilare le nuove Costituzioni.
Da questi dati possiamo dedurre che S. Croce è un cenobio attivo, aperto alla comunità, pronto a seguire il percorso di formazione religiosa e culturale dei suoi novizi secondo le nuove direttive; è centro di elaborazione di idee all’intero dell’Ordine dal momento che don Alberico Pagnani è incaricato di redigere le Costituzioni in latino[20].
1915: La grande guerra.
La prima guerra mondiale non poté che rappresentare un momento di arresto nella ripresa di quasi tutte le congregazioni monastiche italiane. Dopo l’Unità d’Italia, infatti, al clero e ai religiosi non era stata riconosciuta l’esenzione dalla coscrizione obbligatoria neppure in tempo di pace; i cappellani militari invece erano stati gradualmente ridotti di numero, fino a garantirne la presenza solo in alcuni ospedali militari territoriali. Le disposizioni relative alla mobilitazione generale prevedevano l’impiego dei ministri di culto cattolici solo nei reparti sanitari e negli ospedali da campo. Nel periodo di preparazione alla guerra, questa situazione legislativa costituì un problema di non facile soluzione[21].
Tra i coscritti, alcuni furono inviati al fronte, altri rimasero nelle retrovie destinati ai reparti sanitari. Anche per chi era restato nei monasteri spesso non era facile proseguire con regolarità la vita comunitaria e lo svolgimento del ministero, sia a causa dei vuoti che si erano venuti a creare, che per i numerosi edifici requisiti come alloggi per le truppe e ospedali militari. Gli anni del conflitto rappresentarono un momento di grande difficoltà per l’istituto dei Camaldolesi cenobiti. La crisi traspare chiaramente dagli scritti dell’abate generale Vincenzo Barbarossa, impegnato per lunghi mesi a far fronte alle assenze di chi via via veniva chiamato alle armi e a provvedere alla sistemazione delle comunità espulse dai monasteri requisiti dalle autorità militari. Anche il rientro dei religiosi dal servizio militare e il loro reintegro nella vita regolare dei chiostri, dopo anni tanto traumaticamente diversi, non risultò sempre privo di inconvenienti.
La grande guerra aveva arruolato sedici giovani cenobiti camaldolesi, solo uno non fece ritorno alla vita claustrale. Questa esperienza aveva creato una profonda lacerazione e discontinuità con la formazione umana e religiosa precedentemente ricevuta[22].
Don A. Pagnani così scrive: “Guerra europea – 24 maggio Italia entra in guerra noi camaldolesi offrimmo il monastero di S. Croce per ospedale militare (invece vi si misero i prigionieri). La famiglia si trasferisce a Fonte Avellana monastero presieduto da D. Giuseppe De Angelis[23].”
Conclusa la guerra le case monastiche tornano a riempirsi.
Il 3 settembre del 1919 il Capitolo Generale dei Cenobiti si riuniscono a S. Gregorio Magno il quale decide anche la Costituzione della famiglia di S. Croce con Ginnasio e Noviziato.
Il 30 aprile del 1919 la famiglia era composta da: Don Domenico Giampichetti, sacerdote e insegnante; Don Bernardino Blasi, sacerdote e insegnante; don Andrea Taddei, sacerdote e insegnante; Don Forte Torcolini, parroco; Don Lorenzo Bonetti, prossimo parroco; F. Placido Viti, converso; Luigi Domenico Pacchetti servitore; Don Carlo Parrini, studente; Don Pietro Villani, studente.
La comunità monastica torna ad essere punto di riferimento e di raccordo tra comunità locale e istituzioni nazionali riattivando le vie di comunicazione: “Il 12 agosto Arcivescovo Fronzi manda una circolare ai parroci per invitarli a fare l’Azione Cattolica[24]”. Si costituisce il Circolo giovanile, con sede in S. Croce, guidato da un Presidente, un Segretario e 4 consiglieri. Al 25 dicembre vi sono 36 iscritti. Il Circolo vive solo qualche anno. Commenta don Alberico: “Dove un parroco non ha un centro, ossia un paese numeroso, è difficile fare l’Azione Cattolica[25].”
Nuove sfide chiamano ancora la comunità religiosa per interpretare e lenire le ferite lasciate dalla guerra negli animi dei fedeli. La “religione della patria” ora trova una sua esplicita manifestazione nel culto dei caduti. I morti in guerra furono al centro di un sistematico processo di elaborazione del lutto messo in atto sia da parte dei loro cari, sia dalle istituzioni civile e religiose, al fine di dare un significato e di rendere più tollerabile la perdita. L’iniziativa della commemorazione ha un obiettivo da perseguire: ricordare insieme i cari caduti; il parroco o il monaco li affianca, li sostiene nel superamento del lutto rielaborando la realtà della guerra, restituendo ad essa e alla morte in battaglia dei contorni accettabili[26].
Così il 21 settembre 1921 avviene l’inaugurazione del monumento ai caduti della parrocchia di Scorzano, dipendente da S. Croce. Questi nomi incisi sulla pietra sono “giovani veri martiri della patria. Essi costituiscono il 30% dei chiamati![27]”, così annota il Pagnani, che in parte con propri fondi, in parte con la questua ha fatto costruire il cippo in ricordo con questa frase commemorativa:
LA PARROCCHIA DI S. CROCE-SCORZANO AI SUOI FIGLI CHE SANGUE E VITA DONARONO ALLA PATRIA (1915 – 1918).
1926: I controversi rapporti con il fascismo
Negli anni che vedono il consolidamento del regime fascista le comunità monastiche, prese dai loro problemi interni, vivono ai margini della vita politica e istituzionale del paese, lontane anche dall’incontro o dallo scontro tra Chiesa e fascismo. Anche la scarsità se non l’assenza di documenti appare significativa di un atteggiamento di distacco rispetto ai temi ricorrenti tra i cattolici impegnati in campo sociale e politico. Non si può negare, però, che il regime fascista abbia esercitato il suo fascino e raccolto consensi anche all’interno delle comunità monastiche, come del resto nella Chiesa cattolica italiana, soprattutto grazie agli aspetti più superficiali del nazionalismo: sia la difesa dell’ordine e dell’autorità, sia la necessità del sacrificio per il raggiungimento di un ideale superiore si coniugavano bene, infatti, con la mentalità monastica dell’epoca. Complessivamente non si riscontrano rapporti frequenti con personalità legate al Regime e alcuni di essi sono da ritenersi di natura del tutto istituzionale, dovuti al fatto cioè che i fascisti ricoprivano importanti cariche nella pubblica amministrazione. Generalmente i monaci postulano una serie di facilitazioni riguardanti la gestione degli edifici da loro abitati che erano stati assorbiti dal demanio in seguito alle soppressioni. È questo il caso dei Camaldolesi sia eremiti di Toscana che cenobiti, i quali, nelle loro richieste, esprimevano il riconoscimento della funzione storica del Regime, la restaurazione della pace religiosa e la rimessa in valore della Chiesa nella società italiana. Ovunque, si riscontrano commenti molto positivi al raggiungimento della Conciliazione tra Stato e Chiesa del 1929, giudicata un atto doveroso di giustizia che poneva termine a un lungo e lacerante dissidio[28].
A S. Croce si reca Mussolini nei suoi viaggi attraverso l’Italia, così il Pagnani narra: “19 agosto 1926-Mussolini a S. Croce. Data l’autorità e la celebrità di quest’uomo in questi tempi, quando tutta Italia era fascista (almeno esternamente) e a lui plaudiva, mentre solo con l’attuale guerra insensata ha trascinato alla rovina sé e la nazione, registriamo qui la sua venuta in questi luoghi.
Proveniente da Cagli è arrivato a Sassoferrato alle 9,15 accolto da fascisti in camicia nera venuti da ogni parte e dal suono festivo di tutte le campane, anche di S. Croce. Ma non si è fermato ed ha proseguito per la strada di Scorzano verso Gobbi, dove ha assistito ad esercizi di tattica del 93° e 94° Fanteria, e ha parlato agli ufficiali dove poi è stato eretto un cippo per ricordo. Tutti i passi delle strade erano sbarrate e quattro aerei volteggiavano sopra la zona. Verso mezzogiorno è sceso a piedi ed è giunto a S. Croce. Lo attendevano io, l’abate Barbarossa, don Carlo, don Paolo perché i giovani erano a Fonte Avellana. Ci salutò piacevolmente e chiese subito di vedere la chiesa. Io gli feci le necessarie spiegazioni […] Gli offrii la Guida del Monastero, che gradì e portò via. Poi scese a pranzo nel cortile, dove sotto gli archi erano pronte le tavole per 150 commensali. Di noi il solo l’abate Barbarossa fu invitato e sedeva alla tavola presidenziale presso la parete nord. L’Abbate gli lesse un indirizzo di saluto e di elogio. […]
Dopo pranzo scese verso il Lavareto dove erano schierati ragazzi e ragazze in divisa. Quindi ebbe il ricevimento al Municipio. E circa le 14 con treno di lusso tornò a Roma. Mussolini tra me e l’Abate fummo fotografati per il Cinema[29].”
L’anno 1927 è fervido di iniziative in quanto avvengono i festeggiamenti per il nono centenario della morte di S. Romualdo: La Rivista Camaldolese (Ravenna1926-1927) e il Bollettino di S. Romualdo (numero unico straordinario, Fabriano, 1927) divengono una fucina di idee in cui laici e cattolici uniscono e collaborano con grande impegno e creatività. Viene pubblicata La vita di S. Romualdo, scritta da don Alberico Pagnani[30] ed una copia viene offerta in dono al papa Pio XI e consegnata dall’Abate Barbarossa. I festeggiamenti avvengono a Ravenna (7-13 febbraio), Sassoferrato (7-10 giugno), Fabriano (12-19 giugno), Camaldoli (8-11 settembre). Queste celebrazioni sono animate con grande energia e avvengono in collaborazione con gli Eremiti di Toscana.
Mentre in data 14 maggio 1927 il Podestà comunica la Circolare del Questore di Ancona riguardo le processioni, le quali devono essere comunicate al Podestà con preavviso di almeno 5 giorni prima e in triplice copia, S. Croce dal 7 al 10 giugno festeggia il centenario della morte di S. Romualdo, Santo fondatore dei Camaldolesi, con un ricco programma:
Domenica 3 giugno conferenza con proiezioni nell’edificio Scolastico di Sassoferrato, Oratore ing. E. Castellucci di Ravenna; nei giorni 7-8-9 riti religiosi alla mattina e alla sera solenne funzione per il Triduo; domenica 10 giugno alla mattina messe, alla sera solenne Funzione e processione con la Reliquia del Santo da S. Croce a S. Maria. Poi si prosegue dal Borgo al Castello. Per l’occasione furono stampati e distribuiti foglietti con l’inno “Da Ravenna progenie gloriosa”, parole di don A. Pagnani – musica del M° Bagnoli di Firenze, con approvazione ecclesiastica di Don G.Bernardoni Vic. Gen. di Fabriano[31].
Mentre don Alberico nel 1931 si reca a Roma a perfezionare le Costituzioni, a S. Croce si svolgono gli esami: ginnasio 28 alunni e un teologo.
A Roma studiano gli allievi del Collegio di S. Croce: in teologia 5 e in filosofia 7.
Dal 1932 cominciano ad essere sempre più intricate le trame interne di tradimenti, di conflittualità che generano irrequietezza, mentre si forma in luglio la classe preparatoria composta da 9 alunni al ginnasio e 5 novizi. La vita interna al monastero diviene sempre più difficile. Vengono date all’abate Manganese il testo in latino definitivo delle Nuove Costituzioni e lo Statuto degli Oblati[32].
La crisi interna diventa di difficile gestione,” l’invio del visitatore apostolico, p. Domenico Taviani, ministro generale dei minori conventuali, che non seppe districarsi nel ginepraio che si era creato. […] Questo dette occasione all’Abbate Barbarossa di compiere ciò che ingenuamente gli pareva di poter essere una mossa vincente e, invece, si rivelò un errore fatale: presentare le sue dimissioni da abate generale per provocare la convocazione di un Capitolo Generale. Le dimissioni, invece, furono immediatamente accolte […] è nominato un delegato apostolico che doveva fungere da superiore generale: abate Emanuele Caronti, Sublacense, di Parma[33].”
2 luglio 1935: soppressione della Congregazione Camaldolese Cenobita.
“Il 22 luglio 1935 alle ore 15 l’abate Caronti varcava il portone dell’eremo di Camaldoli, all’ingresso more episcoporum da tutta la famiglia eremitica riunita. Portava con sé la costituzione apostolica Inter religiosos coetus, datata 2 luglio. Alle 16 nell’aula capitolare ne dava lettura e spiegazione insieme al decreto applicativo a tutta la comunità che esultava per i sapienti provvedimenti di Pio XI. La Congregazione camaldolese cenobitica veniva soppressa[34].
La testimonianza diretta di don A. Pagnani riguardo questo evento, da lui vissuto in prima persona ci fa coglierne la drammaticità e la sofferenza vissuta dall’intera famiglia monastica:
Da circa mille anni esisteva questa Congregazione benedettina, che traeva la sua origine da S. Romualdo. Aveva posseduto 500 monasteri, quasi tutti in Italia e aveva dato alla chiesa tanti santi, vescovi, Cardinali e un papa Gregorio XVI e tanti dotti (Fra Mauro, Traversari, Grandi, Mittarelli, Costadoni, Zurla ecc) e artisti.
Per più di sei secoli l’Ordine camaldolese comprendeva cenobiti e eremiti. Ma nel 1616 gli Eremiti (Congregazione di Toscana) chiesero alla Santa Sede di separarsi. Il motivo era il disaccordo nelle elezioni, perché i Cenobiti erano assai più numerosi e avevano più voti. Prima le commende e poi la soppressione napoleonica ridussero a pochi religiosi la congregazione. Nondimeno i pochi valevano, perché intorno al 1830 ebbero due Cardinali e un Papa. La soppressione del 1861 aggravò ancora di più le non liete condizione del Sodalizio le cui case erano tutte in Italia. Nondimeno dopo la guerra Europea (1914-1918) si fecero sforzi prodigiosi sotto la guida dell’abate Barbarossa e nonostante le cresciute ristrettezze economiche, per aumentare il numero dei religiosi e per rendere più austera e più esatta l’osservanza si compose e si stampò dapprima un breve Statuto e poi si completò le già incominciate Costituzioni (compilazione fatta con molto lavoro da me). Si procurarono migliorie economiche, si apri il Collegio di S. Croce e si raccolse un discreto numero di giovani, dai quali dovevano uscire e uscirono poco dopo il 1935, almeno 14 sacerdoti. Più tardi i Collegi divennero tre: S. Croce, S. Gregorio di Roma e Volterra (questo per gli aspiranti conversi). Si fondò una Casa-Missione nel Texas, Stati Uniti. Tutto prometteva un prossimo rifiorimento della cara mia Congregazione (mi vengono le lacrime a rammentarla), quando nel 1929 venivo a sapere che qualcuno o alcuni avevano brigato presso la S. Congregazione dei Religiosi per impedire di celebrare il consueto Capitolo Generale. Più tardi fu tutto chiarito. Con la Bolla Pontificia si sopprimeva i Cenobiti[35].
Tutte le nostre case e tutti i nostri beni mobili e immobili si davano agli Eremiti. I Cenobiti potevano passare agli Eremiti, ma previo noviziato, ammissione con voti eremitici e nuove professioni. Tutto questo fu battezzato per “Unione” delle due Congregazioni per maggiore ironia. […]
Per quali motivi è stata soppressa la mia congregazione? La Bolla religiosa Inter religiosos coetus non dice nulla[36].”
“Al momento della soppressione vi erano a S. Croce 40 cenobiti Abbiamo a Roma 5 studenti di teologia e 7 di filosofia[37].”
Questa breve sintesi della storia dell’Abbazia di S. Croce di Sassoferrato ci permette di comprendere come la Congregazione Camaldolese Cenobita ha interagito energicamente con il territorio rispondendo alle richieste di servizio della Chiesa con una presenza costruttiva ancora tutta da esplorare.
[1] A.Pagnani, Storia dei Benedettini camaldolesi, Cenobiti, eremiti, monache e oblati, Sassoferrato 1949; R. Fornaciari, Eremitismo e cenobismo in conflitto nell’Ordine camaldolese, La soppressione ecclesiastica dei monaci Cenobiti nel 1935 e l’abate Emanuele Caronti, Camaldoli 2007 (Studi e testi camaldolesi, 12)
[2] A.Pagnani, Storia dei camaldolesi, Sassoferrato, 1949
[3] R.Fornaciari, L’Ordine camaldolese in età moderna e contemporanea, Atti del II Convegno di studi in occasione del millenario di Camaldoli (1012-2012), Cesena, 2015
[4] R.Fornaciari, L’Ordine camaldolese in età moderna e contemporanea, Atti del II Convegno di studi in occasione del millenario di Camaldoli (1012-2012), Cesena, 2015
[5] A.Gibelli, Memorie storiche della Congregazione camaldolese posteriore agli annali della stessa, I-II, ASC, CAM, ms. 104, p. 15-16 (Archivio Camaldoli)
[6] G.M.Croce, Monaci ed eremiti Camaldolesi, 9 G.M.Croce, Monaci ed eremiti camaldolesi in Italia dal Settecento all’Ottocento. Tra soppressioni e restaurazioni (1769-1830), in Il monachesimo italiano dalle riforme illuministiche all’Unità nazionale. Atti del II convegno di studi storici sull’Italia benedettina, Abbazia di Rodengo (Brescia), 6-9 settembre 1989, a cura di F.G.B.Trolese, Cesena, Badia di S. Maria del Monte, 1992 (Pubblicazioni del Centro storico benedettino italiano, Italia benedettina, XI). G.M.Croce, Le Congregazioni camaldolesi nella prima metà del XX secolo, p. 145-179;
[7] R.Fornaciari, L’Ordine Camaldolese in Età moderna e contemporanea, in Atti del II Convegno di studi in occasione del Millenario di Camaldoli (1012-2012), Monastero di Camaldoli, 30 maggio-1 giugno 2013, a cura di G. M. Croce e U. A. Fossa.
[8] A.Pagnani, Cronache di S. Croce, ms. Archivio Camaldoli.
[9] A.Pagnani, Cronache di S. Croce, ms. Archivio Camaldoli.
[10] A.Pagnani, Cronache di S. Croce, ms. Archivio Camaldoli.
[11] Albertino Bellenghi nato a Forlimpopoli nel 1757, vestì l’abito camaldolese a Fonte Avellana dove inizia gli studi teologici che termina a Roma. Rientrato nel suo monastero, ricevette l’incarico di lettore di filosofia, teologia e diritto canonico (1802), trasferito al monastero di S. Biagio a Fabriano (1805) vi esplica la medesima funzione. Rivolge il suo interesse allo studio dell’archeologia, di morale di diritto canonico e ricopre l’incarico di esaminatore diocesano del clero. Rimane con speciale concessione nel monastero di Fonte Avellana dove si dedica a studi chimici e geologici. Pubblica il libro sul Processo delle tinte che si estraggono dai legni ed altre piante indigene (Ancona 1811). Su Bellenghi cfr. M.-Th. Disdier, Bellenghi Albertino, in Dictionnaire d’historie et de géographie ecclèsiastiques, VII, Paris 1934, col. 867-868.
[13] M.Cappellari, monaco Camaldolese Cenobita, nasce a Belluno nel 1765, veste l’abito camaldolese il 23 agosto 1783 nell’abbazia di S. Michele di Murano. Dal 1790 svolge attività di insegnante di filosofia e scienze nel suo monastero. Il 2 febbraio 1831 diviene Papa, con il nome di Gregorio XVI. Su Gregorio XVI vedi: G. Martina, Il clero romano fra ancien régime e secolarizzazione, in La comunità cristiana di Roma, III, La sua vita e la sua cultura tra età moderna e contemporanea, p. 122; Gregorio XVI tra oscurantismo e innovazione. Stato degli studi e percorsi di ricerca, a cura di R. Ugolini, Pisa-Roma 2012 (Risorgimento. Idee e realtà).
[14] R.Fornaciari, Appunti per una storia della Congregazione dei monaci cenobiti camaldolesi (1616-1907), “Claretianum”, 45 (2005), p. 203-270.
[15] A.Pagnani, Cronache di S. Croce, ms. Archivio Camaldoli.
[16] A.Pagnani, Cronache di S. Croce, ms. Archivio Camaldoli.
[17] G.Vian, La riforma della Chiesa per la restaurazione cristiana della società. Le visite apostoliche delle diocesi e dei seminari d’Italia promosse durante il pontificato di Pio X (1903-1914), I, Roma 1998, pag.185.
[18] A.Pagnani, Cronache di S. Croce, ms. Archivio Camaldoli.
[19] Antonio Barbarossa è nato a Pierosara il 12 agosto 1875. Suo ingresso al monastero il 2 febbraio 1891. Emise la professione semplice il 28 marzo 1892 e la solenne il 3 aprile 1899, ricevette l’ordinazione presbiteriali il 21 marzo 1900; aveva compiuti gli studi teologici al collegio di S. Anselmo di Roma. Posto alla guida della congregazione, l’abate Barbarossa stilava un elenco dei religiosi: 25 presbiteri, 2 professi in sacris, 5 professi temporanei, 4 fratelli conversi, per un totale di 36 persone. L’abate così ricordava l’inizio del suo mandato nella relazione di apertura del capitolo generale del 1919: “Il momento era estremamente difficile. Le finanze completamente rovinate, il noviziato chiuso, il Professorio disperso, i monaci disorganizzati. Era facile comprendere quanto fosse arduo il compito affidatoci.” L’analisi dettagliata del periodo dal 1913 al 1934 dimostra quanto fosse arduo il compito affidato a Barbarossa. In questo periodo affrontò situazioni difficili. Affrontò la guerra, il dopo guerra, tentò il ripristino della regolare osservanza, avviò un lungo e laborioso processo di revisione delle costituzioni della congregazione. Ha aperto una casa nell’America del Nord dove esercitava Don Basilio Bravi.
[20] A.Pagnani, Memorie della mia vita, scritte di volta in volta a datare dal 1915, con riassunto degli anni precedenti, a cura di Mirella Cuppoletti e Giacomo Pagnani, Sassoferrato, 2013
[21] R.Fornaciari, La formazione monastica negli anni giovanili di don Alberico, in A.Pagnani, Memorie della mia vita scritte di volta in volta a datare dal 1915 con riassunto degli anni precedenti, a cura di Mirella Cuppoletti-G. Pagnani, Sassoferrato, 2013, p. 21-38.
[22] V.Barbarossa, Relazione dell’opera svolta dai Superiori maggiori dal maggio 1913 al settembre 1919. Esposta al Capitolo Generale del 23 settembre del 1919, in ASC, sez. A, cas. XXVIII, ins. 5, in R. Fornaciari, L’Ordine Camaldolese, p. 370, nota 80.
[23] A.Pagnani, op.cit.
[24] A.Pagnani, Cronache di S Croce, ms. Archivio Camaldoli
[25] A.Pagnani, Cronache di S Croce, ms. Archivio Camaldoli.
[26] M.Isnenghi e G.Rochat, La grande guerra, Milano, 2004; G.Sabbatucci, I combattenti nel primo dopoguerra, Bari, 1974; M.Isnenghi, Le guerre degli italiani, Milano, 1989.
[27] A.Pagnani, Memorie della mia vita, scritte di volta in volta a datare dal 1915, con riassunto degli anni precedenti, a cura di Mirella Cuppoletti e Giacomo Pagnani, Sassoferrato,2013.
[28] R.Fornaciari, L’Ordine camaldolese in età moderna e contemporanea, Atti del II Convegno di studi in occasione del millenario di Camaldoli (1012-2012), Cesena, 2015.
[29] A.Pagnani, Cronache di S. Croce, ms. Archivio Camaldoli.
[30] Dott. Don Alberico Pagnani, Vita di S. Romualdo, Fabriano, 1927.
[31] Bollettino S. Romualdo, numero unico, Fabriano, 1927.
[32] A.Pagnani, Cronache di S. Croce, ms. Archivio Camaldoli.
[33] R.Fornaciari, L’Ordine camaldolese in età moderna e contemporanea, Atti del II Convegno di studi in occasione del millenario di Camaldoli (1012-2012), Cesena, 2015. P.374-375.
[34] R.Fornaciari, L’Ordine camaldolese in età moderna e contemporanea, Atti del II Convegno di studi in occasione del millenario di Camaldoli (1012-2012), Cesena, 2015. P. 378.
[35] A.Pagnani, Cronache di S. Croce, ms. Archivio Camaldoli.
[36] A.Pagnani, Cronache di S. Croce, ms. Archivio Camaldoli.
[37] A.Pagnani, Memorie della mia vita, scritte di volta in volta a datare dal 1915, con riassunto degli anni precedenti, a cura di Mirella Cuppoletti e Giacomo Pagnani, Sassoferrato, 2013.