In un ponderoso volume, il gruppo di ricercatori coordinato da Giancarlo Castagnari ripercorre i principali momenti della vita della società fabrianese tra l’inizio del XX secolo e la fine del primo conflitto mondiale, dando conto delle novità introdotte nell’organizzazione della produzione e del lavoro e l’accendersi di forti passioni politiche in occasione degli eventi che scuotono la realtà locale, collegati il più delle volte con quelli che interessano la vita nazionale e internazionale. Il libro apre poi scenari del tutto nuovi sul periodo del primo conflitto mondiale, con un percorso che segue, quasi con cadenza giornaliera, le tappe che portano all’ingresso dell’Italia nel conflitto europeo e al seguente triennio con le sciagure e i morti che colpiscono pesantemente Fabriano, come d’altronde l’intera Italia.
Castagnari riunisce tutte le conoscenze accumulate in tanti anni di ricerca storica sul mondo fabrianese considerato nel periodo tra la fine dell’Ottocento e i primi tre lustri del secolo successivo e fornisce le prove che a Fabriano, come in tant’altre località italiane, non tutto brilla negli splendori dell’età della belle époque. Intanto continue sono le difficoltà che si frappongono alla pubblica amministrazione che non sa trovare adeguate soluzioni ai tanti problemi che affliggono il Comune più grande della regione, con un’estensione di poco oltre i 272 Km2, con una popolazione di quasi 23.000 abitanti, dei quali circa 9.400 nel capoluogo. Un territorio di alta collina e di montagna con un’economia agricola prevalente che manteneva ancora caratteri fortemente arretrati. Una certa ricchezza arriva da piccole e medie industrie, quella prevalente è la cartaria controllata dalle famiglie Miliani e Fornari. Abbastanza presto, rispetto a altre aree industrializzate, gli occupati nelle fabbriche si organizzano in difesa dei loro diritti e già nel 1884 si verifica un grande sciopero dei cartai. Dalle organizzazioni operaie il passo è breve verso l’aggregazione di forze politiche più strutturate e, anche in questo caso, sul finire dell’ottocento è possibile cogliere in Fabriano gruppi repubblicani, anarchici, socialisti e cattolici. I repubblicani sono tra i primi a darsi un programma di lotta politica, come del resto i cattolici, sotto la spinta del movimento di Romolo Murri, potranno di- mostrare una loro consistenza. Il dibattito politico e le maggiori vertenze operaie del territorio trovano una cassa di espansione in alcune testate giornalistiche che nascono una dietro l’altra e sono portavoce di istanze diverse. Anarchici e mazziniani avevano fondato, nel 1876, «Il Martello» che nei primi tempi vede operare a fianco a fianco repubblicani di spic- co, come Francesco Antonio Quagliarini, insieme a internazionalisti del livello di Napoleone Papini finché tra i due non insorgeranno divergenze e Quagliarini transiterà nel Fabrianese, il giornale voluto dalla Società di Mutuo Soccorso e vicino alla democrazia liberale. L’ala più conservatrice del liberalismo, dal 1875, ha la sua testata di riferimento nel «L’Eco del Giano» sostenuto da Francesco Fortunato Carloni, un ricco possidente, sindaco nel 1870, direttore del Consorzio Agrario, che troverà in Oreste Marcoaldi, uno dei migliori storici fabrianesi, una efficiente guida alla redazione. Quanti si ispirano al mazzinianesimo, avranno, a iniziare dal 1891, un punto di riferimento nel «L’Indipendente, sostenuto da Pietro Castagnari, direttore del periodico e allo stesso tempo principale animatore della Confederazione Operaia Democratica. Il giornale, nella breve vita di un anno (cessa le pubblicazioni nel 1892) faciliterà alquanto l’ingresso di una prima pattuglia repubblicana-mazziniana in Consiglio comunale. La sempre maggiore presa di coscienza del ceto operaio permette di costituire, nel 1897, la “Lega di Resistenza, in seguito “Federazione di Resistenza Cartai” che fa sentire la sua voce attraverso il periodico «Il Cartaro» il cui principale esponente è il sindacalista repubblicano Onofrio Angelelli, alle dipendenze delle Cartiere Miliani, autodidatta, storico per passione e socio corrispondente della Deputazione di Storia Patria per le Marche.
La stentata vita degli organi di stampa insieme alla sempre più con- sistente presenza di partiti e movimenti politici prepara comunque la strada a nuovi assetti nelle alleanze per il governo del Comune. L’inizio del novecento trova l’amministrazione in crisi dopo il ritiro del sindaco Costantino Benigni. Alla fine di marzo del 1900, s’individua il successore in Luigi Montini, il quale però non resterà a lungo e passerà la mano a Marco Gabrielli. Quest’ultimo mantiene l’incarico per neppure un mese, non sarà facile trovare chi accetti la carica di sindaco, per cui il Consiglio comunale è sciolto con decreto reale il 2 settembre di quello stesso anno. Da settembre a novembre del 1900 è un Commissario straordinario, il conte Cesare Pongileoni, a gestire l’amministrazione provvisoria fino alle elezioni di metà novembre. Il neoeletto Consiglio, dominato sempre dal notabilato locale, chiama a ricoprire il seggio di sindaco Giovanni Battista Miliani. E’ al secondo mandato, dopo di quello del 1889, e rimarrà al suo posto fino al 1903, quando sarà sostituito da Francesco Malvaglioli, rimasto in carica poco più di venti giorni. Rientra in carica Miliani per restarvi fino ai primi di luglio del 1904. Dopo una vacatio protrattasi fino a novembre, il 16 di quel mese è Costantino Benigni Olivieri ad assumere l’incarico di sindaco e mantenerlo fino all’agosto del 1906. Il successore, Pietro Monicelli, dopo undici mesi circa di governo della città, cessa di vivere e al suo posto si insedia Pietro Serafini, in carica fino al 1908. Alle sue dimissioni torna un Commissario in Comune, nella persona di Federico Fusco, che lascerà, dopo nuove elezioni, il suo posto al sindaco Gustavo Fornari. Il mandato del Fornari si protrarrà fino al 1910 e a se- guito della vittoria elettorale delle sinistre, Costantino Benigni, per la terza volta diviene sindaco di Fabriano, con al suo fianco, tra gli altri assessori, il radicale Augusto Zonghi e il socialista Luigi Bennani. L’amministrazio- ne del massone Benigni rimane in carica fino al 1912 per passare poi la mano al radical-democratico Michele Pagnani, ex presidente della Società Operaia di Mutuo Soccorso, che in giunta conta valenti collaborazioni di repubblicani e radicali.
La turbolenta vita del Comune di Fabriano non è un caso a sé e trova analoghi riscontri in altri centri della provincia di Ancona, dal capoluogo, a Jesi e Senigallia, per rimanere tra i maggiori, oltre che a tant’altri di minore densità demografica. Non va dimenticato che nell’approssimarsi del cinquantenario dell’Unità d’Italia anche la stessa capitale, Roma, vive una profonda trasformazione politica che permette a Ernesto Nathan, massone, repubblicano mazziniano, di guidare la città dal 1907 al 1911 e poi fino al 1913.
E’ la situazione del momento, dettata dalle scelte politiche di Giolitti e del giolittismo a permettere tali ampie manovre elettorali con esiti non sempre positivi finché tutto di nuovo non muterà dopo la sottoscrizione del Patto Gentiloni, nel 1912 e la riforma elettorale con l’introduzione del suffragio elettorale maschile, lo sdoganamento dei cattolici che, sollevati dal non expedit di Pio IX, hanno via libera per sottoscrivere alleanze con i liberali.
Le maggiori aperture nei confronti delle sinistre all’avvio del nuovo secolo si devono alla nascita di testate giornalistiche con programmi editoriali più aperti alle istanze del mondo del lavoro e tra i primi a pro- muovere la stampa di un giornale che sia la voce dei lavoratori è Emilio Stefanelli, dirigente del partito socialista, che nel 1902 fonda «Il Raglio», giornale popolare fabrianese. Avrà breve vita e cesserà di esistere nel 1905, dopo l’espatrio, alcuni mesi prima, del fondatore ad Alessandria d’Egitto in seguito ai duri contrasti con i gruppi dirigenti locali e la cacciata dal posto di lavoro.
Con l’allontanamento di Stefanelli il programma di lotta, anche attra- verso la stampa, della sinistra fabrianese non si cancella per l’intervento di Nestore Zacchilli, esponente dell’ala democratico-massonica e preside del locale ginnasio, il quale con l’avvocato riformista Luigi Bennani, sono gli ispiratori del «La Lotta Democratica», che raccoglie l’eredità dei giornali anticlericali di fine ottocento.
Sempre nel 1905, Agostino Crocetti, un sacerdote di ampia cultura e dirigente della locale Azione Cattolica, già impegnato alla guida del foglio dei cattolici anconetani «La Patria», dà vita al foglio «L’Eco del Giano», con serie intenzioni di ribattere la stampa popolare e promuovere un programma di riforme economiche e sociale dal forte sapore paternalistico.
Per rafforzare l’impegno di lotta dei partiti popolari, nel 1907, compare «La Lotta Operaia», i cui animatori sono il segretario della Lega di resistenza fra i contadini, l’avv. Stelluto Stelluti Scala, e l’avv. Arnaldo Marcellini, un socialista soreliano, tra i sostenitori del sindacalismo operaio e della lotta di classe e al contempo assessore in Comune. Toni ancor più accesi di lotta con l’amministrazione comunale clerico-moderata, guidata dal sindaco Fornari, caratterizzeranno un altro giornale, comparso nel 1909, «Il Popolare», ispirato dall’anarchico Virgilio Virgili e da Luigi Bennani. Ottiene risultati insperati con le dimissioni, nel ’10, del sindaco Fornari. Le elezioni sono vinte dai partiti di sinistra eppure, come già si è visto, non si riuscirà a creare una amministrazione stabile e s’entrerà in un periodo di continui cambiamenti al vertice del Comune, compresi gli intermezzi delle gestioni commissariali.
In un tale contesto le sorti amministrative del Comune fabrianese tor- nano in mano alla forte rappresentanza cattolica che dal 1911 ha modo di farsi sentire attraverso un organo di stampa, «L’Azione», sulla scia de «L’Eco del Giano», di don Crocetti, diretto nei primi numeri da don Nicola Mercurelli, al quale seguirà Giuseppe Bernacconi e Giuseppe Antonelli. Tra i redattori ci sono Romualdo Castelli, Lamberto Corsi e Bernardino Ciarabalà, le punte più avanzate del pensiero cattolico del momento.
«L’Azione» e «Il Popolare», come giustamente evidenzia Castagnari, sa- ranno in continua polemica tra loro e troveranno linfa vitale nei contrasti ideologici e politici, giacché il primo è pronto ad assumere atteggiamenti populisti, nazionalisti, di simpatia per il blocco d’ordine, sostenitore di un’I- talia colonizzatrice in Africa, sostenitore delle camarille locali che inviteranno a votare per Miliani nel 1913. L’altro foglio rimarrà solidamente legato ai principi dell’anticlericalismo, dell’antimilitarismo e dell’anticolonialismo.
La loro presenza negli anni che precedono la guerra, così come poi durante il conflitto, sarà fondamentale nella formazione di un sentimento patriottico nel Fabrianese, come d’altronde avranno modo di illustrare altri Autori nel presente volume.
Il primo vero banco di prova sarà offerto dagli avvenimenti del giu- gno del 1914, quando nei giorni dal 7 al 14, Fabriano, alla pari di altri luoghi delle Marche e della vicina Romagna, sarà protagonista di quella che è poi passata alla storia come “la Settimana Rossa”. I principali ani- matori saranno il socialista Bennani e Luigi Fabbri, personaggio di spicco nell’anarchismo italiano, i quali si adopereranno perché le manifestazioni di piazza non diventino solo occasione di scontro fisico ma siano palestre di vivo confronto politico.
In una situazione così difficile, carica di problemi politici ed economici, non è possibile parlare di crescita demografica. Appena percettibile è l’au- mento dei residenti nel primo quindicennio del Novecento, come ben fa notare Patrizia Mencarelli. Il suo contributo, frutto di un’accurata indagine nell’archivio dello stato civile del Comune fabrianese, permette altresì una puntuale verifica del numero delle vittime causate dall’influenza epidemica, nota come “spagnola”, rimasto sconosciuto nell’esatta entità per le censure frapposte dall’amministrazione centrale dello Stato, soprattutto nei confronti della stampa. Così, a dire della Mencarelli, una prima presa di coscienza della gravità della situazione a Fabriano si avrà solo nel febbraio del 1919 dopo la pubblicazione di un articolo del dott. Lamberto Laureati su «Il Popolare». Altrettanto interessanti sono i dati forniti sull’alfabetizzazione e le carenze dell’educazione impartita alle donne rispetto agli uomini. Eppure così non si direbbe se prendiamo atto che la maggior parte degli scioperi e delle manifestazioni di piazza negli ultimi quattro decenni almeno, aveva visto le donne come protagoniste, e per prime le operaie delle cartiere.
Lo studio della Mencarelli fornisce ora dati più precisi sul numero dei caduti in guerra che non sarebbero solo i 490 riportati nelle lapidi del monumento, opera del livornese Arturo Dazzi, inaugurato nel 1926 ma a questi vanno aggiunti perlomeno altre 25 vittime, senza contare i 202 mutilati e invalidi.
Altrettanto interessante è il recupero di uno studio di Onofrio Angelelli, risalente al 1937, in cui si dà dimostrazione di quanto numerose siano state le vittime nelle tante frazioni del Comune rispetto a quelle della città. E qui verrebbe da aprire una riflessione su quanto ancora nel primo Novecento fossero diversi modi e condizioni di vita nelle campagne e nei centri urbani, e come si perpetuassero le distinzioni tra chi vivesse entro o fuori le mura cittadine, distinzioni che, d’altronde, perdureranno tal quali per gran parte del secolo, fin oltre gli anni sessanta.
A Silvia Bolotti è stato affidato l’incarico di seguire le pagine dei giornali cittadini, «L’Azione» e «Il Popolare» in primo luogo. di esaminare il loro atteggiamento nei confronti della decisione di entrare in guerra e poi per quanto accadrà tra il 1915 e il 1918, pur nei limiti imposti dall’impossi- bilità di andare in stampa per deficienza della carta oppure nei momenti più crudi del ’17, per non dire della stretta vigilanza della censura.
E’ il settimanale socialista a diffondere la notizia dell’attentato di Sara- jevo, con un articolo pubblicato il 26 luglio, a un mese circa dall’evento. Il giornale cattolico non se ne cura perché, come ricorda la Bolotti, troppo occupato a star dietro alle imminenti elezioni comunali, in calendario per il 2 agosto.
Nei mesi successivi «L’Azione» rispetterà appieno le direttive vaticane e con distacco seguirà la polemica tra interventisti e neutralisti, anche se tra le righe si può cogliere un maggiore consenso per la linea neutralista. Cattolici e socialisti si ritrovano d’accordo nel frenare il più possibile l’en- trata in guerra dell’Italia e gli articoli usciti su «Il Popolare» parlano chiaro. Una voce dissonante tra i giornalisti cattolici è quella di don Crocetti, più propenso all’intervento. Altrettanto alternativi gli interventi su «Il Popolare» di Cesare Briganti Rosa, sempre apertamente schierato per l’intervento e per l’uscita dalla Triplice Alleanza.
L’ingresso in guerra è annunciato da «L’Azione» con la pubblicazione, il 29 maggio 1915, della lettera al clero e al popolo fabrianese del vescovo mons. Andrea Cassulo che induce a un cambiamento di rotta i cattolici i quali, d’ora in avanti, inviteranno a riflettere sui problemi suscitati dal conflitto e sulle ricadute sulle popolazioni locali. Invero. sulle ripercussioni della guerra nelle retrovie e sul piano interno, soprattutto a livello cittadino, si soffermerà di più il giornalismo socialista, fino al termine della guerra e ancora più avanti durante la Conferenza per la Pace di Parigi.
Alla Bolotti fa seguito Giovanni Luzi con la ricostruzione della biografia politica di Giovanni Battista Miliani, proponendo dati più freschi, frutto di un’attenta ricerca archivistica, che aggiornano il libro del 2010 di Bruno Bravetti. Miliani, più volte sindaco di Fabriano, era entrato in Parlamento nel 1905 e sarà riconfermato per sei legislature consecutive. A pochi giorni dalla ritirata di Caporetto è nominato Ministro dell’Agricoltura e suo prin- cipale compito, nei quattordici mesi di durata del suo incarico, sarà quello di regolare il sistema degli approvvigionamenti alimentari per gli uomini al fronte e per le popolazioni nelle retrovie. Miliani svolge il suo incarico con la competenza che gli era riconosciuta a seguito degli studi di scienze naturali e di chimica applicata all’agricoltura compiuti in età giovanile e proseguiti nel tempo. Tra i primi impegni ministeriali c’è il decreto per la mobilitazione agraria che permette al Governo di trovare opportune risorse per sostenere l’agricoltura di guerra, per regolare il sistema distributivo al fine di utilizzare al massimo le capacità produttive del sistema agricolo nazionale. Difenderà il patrimonio olivicolo emanando una legge proibitiva dell’abbattimento e il taglio degli olivi, eccetto le indispensabili potature.
Sempre Luzi, nella seconda parte del suo testo, si occupa dell’attività di G.B. Miliani e segue attentamente la vita delle cartiere nel periodo bellico. A parte le informazioni introduttive sull’incremento delle attività manifatturiere dei primi anni del secolo, in cui si notano l’acquisizione delle cartiere Fornari e l’avvio della centrale elettrica di S. Vittore delle Chiuse, nonché il crescente coinvolgimento della Banca Commerciale ita- liana nella capitalizzazione delle cartiere, di indubbio valore è il documento del settembre 1914, ovvero la lettera in cui Enrico Zuccatosta, uno dei dipendenti dei Miliani, con cui chiede di poter sostituire all’ufficio spedi- zioni Claudio Bigiaretti, partito volontario per la Francia. Biagiaretti era tra quei giovani repubblicani, mazziniani, garibaldini partiti in soccorso ai Francesi aggrediti dalla Germania. Una lettera, quella dello Zuccatosta, importante perché aiuta a meglio intendere quanto «Il Popolare» sostiene, in un articolo del 3 ottobre ’14, a proposito dell’arresto di otto volontari fabrianesi alla frontiera di Ventimiglia. Viene a galla così anche il caso dei tre dipendenti dei Miliani, anch’essi partiti per la Francia, colpiti dal provvedimento di licenziamento. Certo quanto avviene non mettono sotto una buona luce i Miliani nei mesi iniziali del conflitto europeo, anche se in seguito il loro atteggiamento cambierà di netto quando al momento dell’ingresso in guerra, Giovanni Battista Miliani, sessantenne, partirà volontario nei bersaglieri. Ciò permetterà a Miliani una maggiore comprensione delle difficoltà che incontrano i suoi dipendenti impegnati sul fronte bellico e che di frequente si rivolgono a lui per segnalare il disagio dei familiari rimasti a casa. Un patrimonio di lettere dei soldati al fronte custodito negli archivi delle cartiere di indiscutibile valore, anche perché fanno intendere ancor più quale vincolo paternalistico esistesse tra il proprietario dell’industria e i suoi subalterni, nonostante il perdurare delle agitazioni operaie anche nel pieno del periodo bellico.
La conclusione vittoriosa del conflitto sarà annunciata a Fabriano dal balcone del palazzo comunale nella serata del 3 novembre 1918, con un fervoroso discorso del ministro Miliani, dopo il quale prende il via una festa cittadina molto partecipata. Il festoso evento segna il massimo della popolarità raggiunta dal ministro, il quale sa cogliere tutte le opportunità che la possibilità di sedere al tavolo del governo nazionale gli offre e ot- tenere interventi a sostegno della città e del territorio, come ad esempio l’ultimazione dei lavori di costruzione del tronco ferroviario Fabriano-Urbino. Sant’Arcangelo, in un’ottica molto moderna di velocizzazione del traffico ferroviario tra Roma e la Romagna, favorendo le aree interne.
Terminato, nel 1919, l’incarico ministeriale, Miliani tornerà a fare il deputato non a tempo pieno ma quasi e si adopererà per sanare le ferite della guerra e onorare la memoria dei caduti promuovendo la costruzione del monumento dedicato alle 490 vittime fabrianesi, inaugurato il 26 giugno 1926, opera dello scultore carrarese Arturo Dazzi. Altro segno di partecipazione ai lutti della guerra sarà l’apposizione di una lapide nella parete esterna dello stabilimento centrale delle Cartiere Miliani, in cui si ricordano i 22 dipendenti che hanno perso la vita in guerra. Tra loro c’è anche Dandolo Travaglia, uno dei 237 italiani sopraffatti a Gasr bu Hàdi, in Libia, il 29 aprile 1915.
Con Terenzio Baldoni si entra nel pieno del conflitto, anzi nel momento cruciale collegato alla ritirata di Caporetto, seppure il saggio offra un’ampia ricostruzione su tutto quanto avviene a Fabriano a partire dall’inizio del 1917 quando si verificano le dimissioni del sindaco Giuseppe Antonelli, che portano di lì a poco all’elezione del marchese Niccolò Serafini. Nel nuovo assetto di giunta, Gian Battista Miliani è indicato come il respon- sabile della Commissione degli approvvigionamenti, un organismo voluto per coordinare lo stoccaggio e la distribuzione delle scorte, soprattutto di quelle alimentari onde regolare e moderare anche i consumi. C’è anche da seguire l’organizzazione dei soccorsi e l’Autore del saggio annota con diligenza quanto la stampa locale si adoperi per far conoscere il prezioso lavoro della Croce Rossa a livello centrale e periferico e allo stesso tempo la passione con cui la giovane fabrianese Adelia Guerrini cercava di lenire le sofferenze dei ricoverati presso l’ospedale allestito in S. Domenico.
Altrettanto interessanti sono le pagine dedicate alla rivoluzione russa, all’intervento americano in Europa, alle promesse per una riforma degli Imperi Centrali, argomenti che forniscono spunti di dibattito, a volte an- che acceso, come per esempio quello che vedono protagonisti il cattolico Lamberto Corsi che dal fronte risponde a Paolo Mattei Gentili, direttore del «Corriere Cattolico» di Roma.
Le cronache giornalistiche sono materiale pregiato anche per conoscere la riconoscenza con la quale, sempre a livello locale, si apprezzi il sacrificio dei militari al fronte, di qualunque parte politica essi siano, e allo stesso tempo siano messi alla berlina chi tenta di evitare la guerra e vanno a infoltire le schiere dei cosiddetti “imboscati”.
Sempre nei giornali locali, Terenzio Baldoni sa cogliere le reazioni agli scioperi dei cartai, alle agitazioni dei ferrovieri, agli effetti prodotti dalla lotta contro il carovita e rende evidente come Virgilio Virgili dalle colonne de «Il Popolare» avvii un esame delle modifiche introdotte prima della guerra da Giolitti con una graduazione degli assegni elargiti ai reduci delle battaglie risorgimentali, seguita dalla richiesta di equiparazione. Forse, in- consapevole, Virgili dava avvio a un dibattito nuovo, che avrebbe acceso gli animi a guerra conclusa, circa l’opportunità di prevedere un adeguamento degli assegni riconosciuti ai reduci dell’esercito.
Ancor più apprezzabile il lavoro di raccolta delle lettere dei soldati che dopo Caporetto furono pubblicate da «L’Azione» nella rubrica Diario della guerra e in quella Dal Fronte de «Il Popolare». Un recupero altret- tanto importante perché esse testimoniano le sofferenze dei combattenti e utili strumenti per mantenere i collegamenti tra i soldati allo sbando e le loro famiglie. Nello stesso tempo, il loro integrale spoglio, ha fornito un dato più attendibile sui caduti fabrianesi nel periodo seguente Caporetto, ascendente a 46 vittime.
Sempre la stampa aiuta a cogliere le diverse modalità di accoglienza dei profughi in fuga dalle terre venete, dei problemi suscitati all’amministrazione comunale così come dei Comitati sorti per trovare adeguati sostegni alle famiglie in cerca di salvezza.
Letizia Gaspari si occupa del funzionamento della scuola, con una veloce corsa attraverso la legislazione che tra Otto e Novecento si propone di contrastare l’analfabetismo e di promuovere l’accesso all’istruzione di sempre più ampie fasce di cittadini. Nel corso del conflitto anche la scuola risente dei contraccolpi creati dall’adozione di decisione improvvise e straordinarie come nel caso dei lavori di disinfestazione e di tinteggiatura delle aule, che comportarono un ritardo dell’avvio dell’anno scolastico 1916, per gli alunni del Ginnasio, del Corso Magistrale e della Scuola professionale, nella sede dell’ex convento di San Benedetto, dove erano stati acquartierati i militari.
Nel testo della Gaspari è possibile cogliere pure le decisioni prese tra gli insegnanti per un rimodellamento dei programmi educativi e, come nel caso della storia, la volontà di orientare gli studenti verso lo studio dell’epopea risorgimentale con l’esaltazione dell’amor di patria. E’ il momento in cui si comincia sempre più a insistere perché la guerra in atto sia considerata il quarto conflitto per il compimento dell’unificazione nazionale, per l’indipendenza e la liberazione delle terre irredente del nordest italiano.
Non poteva mancare uno spazio adeguato a un “Maestro d’eccezione”, il fabrianese Luigi Fabbri che proprio a Fabriano ebbe la sua prima sede di insegnamento nel 1914 e dove rimane per poco tempo e lascia segni inconfondibili della sua passione per Malatesta e l’anarchismo.
A Giorgia Spadini è stato affidato il compito di seguire l’andamento della giustizia negli anni di guerra e l’adattamento dei codici alla nuova realtà, avviato già in occasione della rivolta antimilitarista del 1914, co- statando come a Fabriano furono inquisiti 66 fabrianesi, compresi coloro che si erano prodigati per “mantenere la protesta nei limiti della legalità” ed esponenti delle più diverse organizzazioni politiche. Ancora una volta si dovette assistere a veementi polemiche imbastite sui due giornali più seguiti a Fabriano, «L’Azione» e «Il Popolare», il primo scopertamente schierato contro i proletari, l’altro più propenso a sostenere i rivoltosi e in loro difesa anche rispetto agli attacchi della stampa nazionale.
La Spadini prende pure in esame i vari delitti commessi da militari in guerra o nelle retrovie occupandosi di autolesionismo, indisciplina, insubordinazione, reati d’opinione, frodi, diserzione, così come di altre casistiche ricorrenti nell’ambiente fabrianese.
Le pagine di don Pier Leopoldo Paloni introducono a un altro impor- tante argomento collegato alla Grande Guerra e poco frequentato dalla storiografia italiana per l’intero secolo scorso, quello della prigionia e del destino di quanti caddero in mano nemiche.
Paloni, con un lavoro durato anni, è riuscito nell’intento di raccogliere tutti i dati possibili sui fabrianesi catturati dal nemico e sul loro destino attraverso la raccolta di segnalazioni, comparse sulla stampa locale, dai primi due casi di Giovan Battista Ferroni, di Cancelli, e di Costantino Braconi, di Castelletta, arresisi al nemico e catturati il 30 giugno 1915, dopo un fallito tentativo di conquista del Monte Cosich. Costituì uno dei primi casi di abbandono delle armi e, come ricorda l’Autore, servì ai Comandi per far passare l’asserto che “i prigionieri sono tutti traditori”. Su queste basi ha retto per parecchi decenni il silenzio della storiografia.
Paloni dà risalto anche alla lista dei 22 prigionieri pubblicata l’8 set- tembre del 1916 da «L’Azione» comprendente i militari presi durante i ripetuti tentativi di superare l’Isonzo. Nello stesso articolo si forniscono dettagli su quanto accaduto a Durazzo, in Albania, dove erano stati cat- turati il cap. Benigno Zampetti e il sottoposto Domenico Dell’Uomo. Altrettanto importante l’informazione fornita da Paloni sul fatto che tutti quei prigionieri ebbero salva la vita.
Ancora più eloquente è il numero dei 112 individui caduti in mano nemica nella ritirata di Caporetto e così pure tutti gli altri militari fatti prigionieri nell’ultimo scorcio della guerra e, come nel caso di Antonio Cecconi, preso il 13 ottobre del ’18, inoltrati al campo di concentramento di Mauthausen.
Quest’ultima indicazione dà modo a Paloni di entrare in un capitolo della vicenda bellica ancora più oscuro quale quello dei campi di concen- tramento allestiti tra Austria, Germania e Boemia dove furono rinchiusi un numero altissimo, in gran parte ancora incompleto, di soldati italiani e dei quali i connazionali non seppero mai granché. Addirittura fino a pochi anni fa si è fatto di tutto per nascondere l’esistenza dei campi di concentramento durante il primo conflitto mondiale e per quello di Mau- thausen si ricordavano, e si continuano a ricordare i deportati ebrei e di etnie diverse durante la seconda guerra mondiale e la loro orribile fine. Di chi la colpa? Difficile dirlo quando c’è un consenso unanime perché certe pagine della storia siano taciute. Un’operazione che iniziò da subi- to, basti pensare che in nessuno dei monumenti innalzati per ricordare i caduti della Grande Guerra è riportato il luogo della morte sia fosse sul suolo italiano sia in quello straniero. Vien da pensare che tale omissione sia dovuta a precise indicazioni calate dall’alto perché non si diffondesse e passasse alle generazioni future l’agghiacciante notizia dell’invenzione di una nuova forma di costrizione e di eliminazione dei vinti, soprattutto in una Italia che dall’immediata fine della guerra, e per qualche decennio, crescerà nel mito della Vittoria contro gli Imperi centrali.
Grazie, quindi, a Paloni per aver stracciato questi veli e aver contribuito a una ricostruzione storica a tutto tondo! Che sia di modello a tant’altri scrittori di storia.
L’ultima parte del volume è presa dalle tante pagine di Mirella Cuppoletti dedicate alla vita della diocesi fabrianese dall’ultimo decennio dell’Ottocen- to al periodo immediatamente successivo al termine del conflitto. C’è un largo uso di documenti ufficiali dell’episcopato fabrianese, omelie, lettere pastorali, interventi sulla stampa cattolica, riportati in genere per esteso e che appesantiscono non poco la lettura di un saggio che rischia così di non essere apprezzato per quanto merita. Le oltre cento pagine compongono un libro nel libro, se ci si passa l’annotazione. Forse sarebbe stato meglio farne una cosa a sé e avrebbe così costituito un ottimo tassello per una Storia della Chiesa fabrianese nel primo Novecento, che non c’è, come manca una completa Storia della Diocesi di Fabriano, alla stregua delle altre Diocesi delle Marche.
La Cuppoletti dà l’esempio di come l’unione tra gli studi di quanto è stato pubblicato e di una nuova, capillare, ricerca negli archivi locali, a partire da quello diocesano, possa permettere di entrare nelle più segrete cose che regolano i rapporti tra il pastore e il suo gregge, nonché il ruolo che l’autorità episcopale detiene nell’ambito dei rapporti tra autorità civile e religiosa sul territorio.
Il testo della Cuppoletti ha il pregio di fornire un ritratto a tutto tondo della figura di mons. Andrea Cassulo, nominato vescovo di Fabriano nel 1914, di forte tempra politica, legato quanto mai alle gerarchie vaticane, trovatosi in molte occasioni a dover risolvere questioni che lo portavano in rotta di collisione con Roma e spesso anche con i suoi fedeli, soprattutto quando si trattava di esprimere una propria linea d’azione contro chi osasse protestare e costituire inopportune alleanze tra organizzazioni religiose e movimenti politici o sindacali più strettamente laicali.
Meritano una segnalazione a parte le ultime pagine del lavoro della Cuppoletti dedicate al periodo che va dalla fine del conflitto all’uscita di scena di mons. Cassulo, col suo trasferimento da Fabriano, attorno alla fine di gennaio del 1921, nei mesi, quindi, che incrociano la crisi ai vertici del Comune provocata dalle dimissioni di Serafini e la nomina del Commissario Ermogaste Stella, sindaco di Sassoferrato, il quale rimarrà in carica fino alle elezioni del 1920 vinte dal Partito Popolare. Stella, considerato dal vescovo Cassulo un esponente della massoneria, dimostra grandi capacità amministrative e sa come rispondere a una questione che assilla la comunità collegata all’impiego dei prigionieri di guerra occupati nei lavori boschivi e nelle miniere di Cabernardi in momenti in cui per molti il lavoro non c’era.
Vorrei chiudere rinnovando il plauso mio e della Deputazione marchigiana a Giancarlo Castagnari, che con saggezza ha guidato il gruppo dei ricercatori, composto, oltre beninteso da Castagnari, da altri otto compe- tenti studiosi, tre dei quali, Terenzio Baldoni, Patrizia Mencarelli e Mirella Cuppoletti, soci della Deputazione. Essi sono la testimonianza di una grande vivacità degli studi storici nel Fabrianese, dove la ricerca, secondo la solida tradizione degli Zonghi, degli Angelelli, dei Canavari e dei Sassi, per ricordarne solo alcuni dei più prolifici, ha portato a risultati inattesi e non è stata appannaggio esclusivo del mondo accademico. Al contrario di altre realtà, a Fabriano si è operato sempre perché le nuove leve della ricerca potessero emergere in un confronto continuo con i documenti d’archivio, per rivelare gli inestimabili valori di giacimenti culturali non sempre tenuti nella debita considerazione.
La Deputazione delle Marche è loro riconoscente.
Ancona, ottobre 2018.
Gilberto Piccinini
Presidente della Deputazione di Storia Patria per le Marche