Parlare della donna e della donna nel Medioevo non è facile, specialmente se vogliamo riferirci al nostro territorio del centro Italia tra Marche e Umbria. Le fonti non sono molte e alcune, forse importanti per la storia del nostro territorio, sono state portate a Roma dall’abate commendatario di Fonte Avellana Giuliano della Rovere quando, con il nome di Giulio II, salì al trono pontificio. Ma anche studiassimo nuovi documenti o archivi, sulle donne comunque non troveremo granché, la maggior parte delle storie che le riguardano sono state scritte da uomini, le donne infatti non potevano scrivere perché erano normalmente analfabete o era stato loro espressamente vietato. Per le donne è sempre stato difficile accedere ai percorsi formativi, la storia della Pedagogia ci attesta che l’attenzione all’educazione delle ragazze comincia ad essere significativa solo in epoca moderna (in particolare nel mondo protestante), spesso alle fanciulle non era garantita nemmeno la formazione di base e questo anche per chi apparteneva ai ceti più agiati1. La Storia con la “S” maiuscola ha bisogno quindi di implementare altre narrazioni che tentino di raccontare quelle storie che spesso sono state volutamente taciute.
La storia del silenzio sulle donne e delle donne parte da molto lontano, con gli antropologi potremmo dire che parte dal neolitico; l’avvento dell’agricoltura ha consolidato il patriarcato e il controllo sulle donne, la coltivazione della terra e la conseguente stanzialità infatti avevano bisogno di eredi certi, il patrimonio accumulato non doveva essere disperso e il clan familiare e il suo potere preservato. L’avvento dell’agricoltura segna quindi l’inizio della fine del potere delle donne. Si ipotizzano infatti nel paleolitico superiore società matrilineari dove le donne probabilmente avevano una diversa considerazione sociale. I popoli che non praticano l’agricoltura raramente hanno strutture gerarchiche e le donne non sono sottomesse, possiamo vedere ad esempio i popoli di cacciatori/raccoglitori o i popoli che vivono sul mare2. Anche nelle nostre zone abbiamo testimonianze di società che probabilmente avevano un’organizzazione sociale diversa, ritrovamenti importanti attestano la presenza di culti legati alla fertilità e alla Dea Madre che con tutta probabilità fanno riferimento a società matrilineari o comunque a società dove la donna aveva un ruolo importante3.
Dobbiamo aspettare il cristianesimo per ritrovare, nella predicazione di Gesù, una rivalutazione della figura femminile e l’apertura del discepolato alle donne. Anche S.Paolo, nella sua predicazione, attesterà che non c’è più “giudeo o greco, uomo o donna” (Lettera ai Galati 3,28). Molti sono gli studi che prendono in esame le donne nell’Antico e nel Nuovo Testamento4, mettendo in evidenza il ruolo che hanno avuto nella storia del popolo d’Israele, nella predicazione di Gesù e nella diffusione del suo messaggio dopo la Resurrezione. Per Gesù la donna non è solo madre, ma amica (Marta e Maria di Betania5), interlocutrice alla quale si può rivelare il più profondo mistero di sé stessi (“Io sono la vita” – dialogo con la Samaritana6) o dalla quale lasciarsi convertire (il messaggio è per tutti i popoli non solo per Israele, cfr. la Cananea7 cfr. Marco 7,24-30), ma soprattutto può essere Apostola8, anzi Apostola degli Apostoli9. Maria Maddalena è sicuramente il personaggio a cui non si può non far riferimento se si vuol parlare di una storia “carsica” del femminile. Lei è la “donna innumerevole”, “la donna archetipa, in tutte le sue dimensioni, dalle più carnali alle più spirituali: è la donna eterna”10. Sarà la figura di riferimento delle donne eremite, delle mistiche, di coloro che avrebbero voluto parlare, scrivere e predicare. Emblema delle donne sfigurate11, diffamate, confuse ad arte con altri personaggi12, vittime degli stereotipi di genere, costrette a nascondersi e a tacere. Soprattutto a questa donna non si perdona l’accesso alla “conoscenza”, all’epoca di Gesù è considerata peccatrice perché “ella non si conforma alle leggi di una società in cui la conoscenza è affare di uomini e in cui le donne non hanno il diritto di studiare i segreti della Torah né d’interrogare le cifre chiare o oscure delle sue lettere quadrate … Chi crede di essere?”13 Chi è costei che ardisce di scrivere addirittura un Vangelo? Che “testimonia di un modo di conoscenza altro, diverso da quello cui ha generalmente accesso lo spirito maschile”14? Il vangelo copto di Maria (Maddalena) del secondo secolo, che parlava di una conoscenza di tipo profetico o visionario, appartenente certamente alla dimensione femminile, sparirà molto presto dalla circolazione, certo non farà parte del canone e verrà anche distrutto, non se ne dovrà avere memoria. Riapparirà carsicamente in Egitto nel 194515.
Facciamoci ancora trasportare dalla corrente di questo fiume sotterraneo che scorre lungo i secoli e che ogni tanto riappare non solo nella Storia ufficiale, ma anche nella storia del nostro territorio che non è un attore di secondo piano per l’argomento che stiamo trattando.
Lasciamo quindi il mondo antico e l’avvento del cristianesimo per cercare le donne nell’età tardo-antica e alto-medievale. Secoli bui per gli storici, un mondo organizzato e complesso che crolla, barbari che fondano nuovi regni, difficoltà ad organizzare nuove istituzioni, ma dove le donne iniziano percorsi inediti. In questo periodo ci sono testimonianze interessanti di alcune matrone romane che entrano in contatto con un nuovo modo di vivere il cristianesimo che si era affermato in Oriente. La vita straordinaria degli anacoreti del deserto è attenzionata anche in Occidente, Sant’Atanasio e San Girolamo nel IV secolo d.C. predicano a Roma e nella capitale incontrano gruppi di donne che avevano deciso di vivere in castità e che si riunivano per leggere e studiare le Sacre Scritture. Tra queste possiamo trovare Marcella che viene proposta da San Girolamo quale modello di vita ascetica da imitare. Atanasio avrebbe fatto conoscere a Marcella la straordinaria esperienza ascetica di Sant’ Antonio e San Pacomio. L’interesse per queste nuove forme di vita alternative, intraprese anche dalle donne, è attestato anche dalla storia di S. Maria Egiziaca, una santa mai esistita, ma la cui storia inizia a circolare nel VI secolo d.C. in Palestina e che ha avuto una grande notorietà nella tradizione monastica e nell’iconografia religiosa, ha rappresentato cioè una sorta di modello per le donne e in particolare per le peccatrici pentite. Alle donne viene proposto questo modello dell’eterna penitente, come se il peccato non venisse mai completamente riscattato, nonostante la peccatrice si fosse convertita e fosse stata perdonata, anche S.Maria Maddalena viene spesso raffigurata come l’eterna penitente16, la sua iconografia si sovrappone a volte a quella di S. Maria Egiziaca. La donna in perenne penitenza, rappresentata da quest’ultima, attraversa i secoli, la possiamo trovare in Jacopo da Varagine che le dedica un capitolo nella Legenda Aurea su S. Maria Maddalena e la ritroviamo … a Fabriano, nel monastero delle benedettine di San Luca dove è stata trovata, nel 2007, una stampa su carta a mano dove il monaco Zosima dà la comunione a Maria Egiziaca17, segno evidente che le storie di questa santa o di Maria Maddalena rappresentassero un esempio per la vita monastica femminile.
E’ molto interessante studiare il monachesimo orientale e il suo approdo in Occidente per capire in quale contesto è nata l’esperienza monastica di San Benedetto da Norcia e Santa Scolastica, dove la foresta e i luoghi impervi saranno il nuovo deserto, il nuovo ambiente dove rifugiarsi per ritrovare se stessi e Dio, lontani dalle convenzioni sociali del tempo. Ecco che il nostro Appennino diventa protagonista in questa esperienza sia maschile che femminile. Sappiamo tutti dalla grande Storia l’importanza del monachesimo nella nostra Europa, ma che fine hanno fatto le donne? La storia delle grandi abbazie perderà di vista la storia delle donne che pure hanno cercato di ritagliarsi un protagonismo finito spesso al rogo. Eppure le abbadesse c’erano, anche loro gestivano abbazie, terreni, ecc. possiamo fare riferimento all’incredibile storia di Ildegarda di Bingen che fondò il monastero di Rupertsperg, anche lei donna “innumerevole” e davvero straordinaria che solo nel 2012 è stata riconosciuta dottore della Chiesa. Anche nella vicenda di Ildegarda18 possiamo vedere che alle ragazze erano preclusi i percorsi formativi, probabilmente studiavano di nascosto, non potevano citare i testi sacri ma solo le loro “visioni” (a Ildegarda però sarà permesso, in via del tutto straordinaria, di predicare!). La sua vicenda testimonia di quanto le donne tentassero di avere un’autonomia, ma in realtà i conventi e i monasteri dovevano comunque dipendere dall’autorità maschile, abate o vescovo, la Chiesa infatti si era organizzata in una gerarchia tutta al maschile. Anche nel nostro territorio ci sono tracce di queste comunità/abbazie al femminile. Nei piccoli centri a volte la grande Storia non ha cancellato toponimi e non ha distrutto edifici, si può far riferimento ad esempio al romitorio di Frasassi (Genga, AN) che con tutta probabilità ha ospitato una comunità femminile, oppure al nome della chiesa parrocchiale di Serra de’ Conti (AN) che è intitolata a S. Maria de Abbatissis (una Chiesa intitolata ad una Badessa….).
Arriviamo quindi al Basso Medioevo dove altre esperienze di donne sono molto interessanti, ci riferiamo alle pellegrine che devono a volte travestirsi da uomini per compiere i loro viaggi19 o alle beghine che guardate con sospetto dall’autorità ecclesiastica, scelgono di non vivere nei monasteri, scelgono la ricerca, il silenzio, la solitudine interiore, la lettura edificante, la carità nei confronti del prossimo, l’amore di Dio, la via mistica20. Una di loro, Margherita Porete, che purtroppo morirà sul rogo per aver scritto Lo specchio delle anime semplici, eserciterà una profonda influenza sulla spiritualità del Medioevo, in particolare su Maitre Eckhart, uno dei più grandi mistici che riprenderà, senza citarla, parola per parola alcuni dei suoi scritti per cercare di raccontare l’ineffabile dell’esperienza mistica che lui condivide con lei21. Questa vicenda ci testimonia ancora una volta quanto fosse difficile per le donne esprimersi e parlare del loro percorso spirituale.
Sicuramente però la vicenda più straordinaria di questo periodo, per il movimento a cui ha dato inizio e per l’importanza che ha assunto nella storia della Chiesa e del nostro territorio, è quella di Chiara d’Assisi, prima donna a scrivere una regola per le sue sorelle, una donna che sceglie la povertà per essere libera dalle costrizioni della cultura del suo tempo, povera per non dover dipendere da nessun “nobile” che fondava monasteri e che continuava a gestire il potere su un territorio anche tramite le donne della sua famiglia che chiudeva in monastero. Chiara si oppone a tutto questo, il lavoro diventa la vera libertà, l’autonomia da ogni autorità, anche il Papa si deve inchinare a questa sorella povera che non “ubbidisce” ai dettami della cultura del suo tempo22. Per noi oggi è difficile vedere nella vita di Chiara una scelta di libertà, ma per una donna che era una merce di scambio tra famiglie, il prezzo di un accordo politico, dove il matrimonio e la procreazione erano gli unici obiettivi della sua vita, la scelta monastica rappresentava la possibilità di evitare continue gravidanze, di avere una vita più lunga e di potersi dedicare alle arti, alla scienza, alla letteratura. Sottrarsi quindi al controllo parentale, disubbidire23 a quello che i genitori avevano programmato, poteva avere un costo altissimo per le ragazze. Chiara non riuscirà ad ottenere tutto quello che avrebbe voluto per le sue sorelle povere che nel ‘600 subiranno la clausura papale, la doppia grata e non potranno più gestire la clausura come uno spazio di libertà. Le figlie di Santa Chiara comunque si moltiplicheranno e le loro comunità s’insedieranno nei centri abitati insieme alle comunità dei figli di S. Francesco, lui che ha voluto che frati e clarisse continuassero ad abitare vicini, complementari nell’annuncio del Regno di Dio.
La storia delle sorelle povere di Chiara d’Assisi, segnerà profondamente il nostro territorio, qui il nostro fiume carsico riemerge potente con storie di monasteri presenti in quasi tutti i nostri centri dai più grandi ai più piccoli. Pensando ai piccoli centri mi permetto di fare riferimento ancora una volta al mio paese, Serra de’ Conti, dove oltre alla Chiesa parrocchiale dedicata alla Badessa, possiamo trovare la Chiesa del Monastero dedicata a S. Maria Maddalena e il monastero omonimo che per cinque secoli ha ospitato proprio le sorelle povere di S. Chiara, le clarisse. Qui la storia di queste donne ha lasciato anche una traccia importante che è sfuggita ai venti della storia, alle spoliazioni napoleoniche e del Regno d’Italia. In questo piccolo paesino si è conservata una testimonianza della quotidianità di quell’universo femminile che, come abbiamo visto, ha lasciato davvero poche tracce di sé. La vita quotidiana, non delle regine o delle dame di corte, ma delle donne di un paesino sperduto che ha conservato gli oggetti e le opere d’arte che nei secoli le donne hanno lasciato dietro di sé: utensili da cucina, telai per la tessitura, ricami, pizzi, alambicchi per l’erboristeria. Le “arti” delle donne, la loro sapienza lasciata nei ricettari, nei manufatti, la testimonianza della cura per la vita che da sempre caratterizza le donne, presenti con i medicamenti ricavati dalle piante e dalle erbe, con i tessuti che riparano i corpi dal freddo e che accolgono il riposo, con le pietanze che allietano le nostre tavole, con gli arredi che accompagnano la liturgia. Quanto lavoro e quanta cura, quanta arte considerata a torto “minore”. Un museo del “tempo sospeso”, questo tempo che è ancora tra noi, epoche lontane che non sono passate del tutto, riprendono vita nel Museo delle Arti Monastiche24 che ci testimonia come l’universo femminile non possa rimanere celato e le sue “arti” hanno il diritto di essere mostrate in un museo al pari delle arti nobili come la pittura e la scultura.
Nella storia, lunga cinque secoli, del Monastero che ha conservato tutti questi oggetti25, si staglia una figura straordinaria che racchiude in sé le vicende di tutti i dimenticati e gli esclusi che nonostante tutto, riescono a lasciare un segno per le generazioni future: Suor Maria Giuseppina Benvenuti26, la “Moretta”. Una bambina schiava, proveniente dal sud Sudan, liberata dai padri comboniani e accolta dalle sorelle clarisse, diventerà, all’inizio del XX secolo, una valente organista e Badessa di un monastero di bianche! La sua straordinaria storia ha ispirato anche la giovane scrittrice Giulia Camminito, vincitrice del premio Campiello, che ha raccontato la sua vicenda nel romanzo Un giorno verrà27.
Finalmente donne che raccontano donne, donne che fanno riemergere questo fiume nascosto anche quando affiora in luoghi sperduti, in mezzo alle colline e alle montagne del nostro Appennino.
Forse non abbiamo rispettato del tutto la consegna che voleva uno sguardo sulla donna nel Medioevo, ma ci piace pensare che tutte queste storie vadano riannodate e raccontate. Le donne dell’età antica e del Medioevo sono un grande esempio anche per noi oggi: donne coraggiose che hanno sfidato il potere, papesse, condottiere, badesse, visionarie, donne che hanno costretto gli uomini ad emanare specifici divieti nei loro confronti, segno quindi che la loro presenza era diventata ingombrante e andava arginata. Oggi questo fiume sommerso vuole emergere e non può più essere tenuto nascosto.
Morena Torreggiani