di Letizia Gaspari
Possiamo osservare il primo ottocento fabrianese come una sovrapposizione di piani diversi del paradigma culturale, da un lato la nostalgia dell’antico assetto politico-culturale barocco e da un altro la curiosità e la sperimentazione di nuovi modelli sociali e culturali che si affacciano prepotenti dalla vicina Francia.
L’Ottocento fabrianese è indubbiamente segnato da sconvolgimenti e riassestamenti non solo tellurici ma anche di ordine politico e culturale che modificano ed ampliano i gusti ed i costumi del popolo, inaugurando una fase storica in cui il ceto nobiliare si vede spogliato dei propri esclusivi privilegi mentre la fruizione della cultura e le esperienze nell’amministrazione politica iniziano ad essere condivise anche dalle classi in ascesa della piccola e media borghesia cittadina.
I francesi a Fabriano
Il dominio francese iniziato a Fabriano nel biennio 1798-99, dopo che le milizie francesi, vittoriose sulle truppe pontificie, impongono un governo giacobino, viene interrotto da una breve restaurazione del potere papale fortemente rivendicato dalle locali insorgenze, per poi ricostituirsi stabilmente nel 1808, anno in cui Napoleone toglie al Pontefice le Marche, che vengono annesse al Regno d’Italia1 dando inizio al regime napoleonico che perdurerà fino al 1814. Nel 1808 le Marche vengono ristrutturate nei tre Dipartimenti marchigiani del Metauro, del Musone e del Tronto, con i rispettivi capoluoghi di Ancona, Macerata e Fermo.
Fabriano è uno dei Distretti del Dipartimento del Musone, il quarto, insieme a Macerata, Loreto, Tolentino e Camerino.
Un secolo dunque, l’Ottocento, che si apre con un terremoto2, più lieve dei precedenti del secolo scorso, quindi l’alluvione del 18073 che danneggia fortemente l’economia cittadina che si svolgeva intorno al fiume Giano, in particolare le Conce; poi, non meno forti, gli sconvolgimenti politici conseguenti all’instaurazione del regime napoleonico. Nonostante gli scompensi economici, i fatti ci rivelano tuttavia una città capace di reagire e di trovare al suo interno gli anticorpi, anche culturali, per contrastare le avverse condizioni4. Infatti già dall’ultimo ventennio del Settecento fino al 1804, Pietro Miliani , associato al conte Vallemani nella conduzione di una cartiera, avvia un esperimento di mezzadria industriale che concentra nella produzione cartaria diverse specialità produttive; pochi anni dopo, nel 1812, Placido Marcoaldi fonda l’officina del Maglio, un’officina meccanica e industriale che perdurerà per oltre un secolo e mezzo5. É pur vero, tuttavia, che altre attività furono interrotte, come nel caso delle due industrie di salnitro e polveriera, soppresse con decreto del “maledettissimo e diabolico governo napoleonico nel dicembre 1811, forse per compiacere ad aspirazioni di altre città”6.
Feste civili e religiose
L’Europa del primo Ottocento è una fucina di cambiamenti politici, culturali e sociali: sono gli anni in cui il nuovo melodramma romantico diventa veicolo degli ideali rivoluzionari di libertà e patriottismo che si esplicano nel modello francese dell’Operà au Sauvage. In quest’ottica la Vestale di Spontini, nell’edizione parigina del 1807, può essere considerato il modello del nuovo teatro musicale napoleonico. Italia e Francia si influenzano a vicenda in un mutuo scambio di idiomi e stilemi.
Il gusto francese di oltralpe permea velocemente l’Italia e anche la vita cittadina fabrianese subisce l’influenza francese, attraverso usanze, giochi e consuetudini che, seppure velatamente, sconvolgono la sobrietà di quell’antico equilibrio basato su accademia e ruralità che è una caratteristica mai completamente estinta dell’animo cittadino. Numerosissime le feste di natura non solo religiosa, ma anche civile, che vengono organizzate dal governo napoleonico in occasione di ricorrenze di ogni tipo, anniversari privati e pubblici
Il cambiamento di governo, avvenuto il 10 maggio 1808, viene festeggiato il giorno successivo alla presa di potere “con l’illuminazione della città e con un’accademia di ballo nel palazzo priorale”7. Intervengono “forzatamente” alla festa diverse giovani signore “per non essere prese di mira come sostenitrici del partito contrario”. Il ballo iniziato alle due di notte si prolunga fino alle cinque e mezza passate, accompagnato dalla musica di una buona orchestra e dalla recitazione di sonetti non sempre di ottima qualità. In effetti le feste civili, in gran parte riconducibili alle vicende della Francia rivoluzionaria, rappresentano una straordinaria novità rispetto alle feste religiose. Esse costituiscono dei preziosi momenti di aggregazione collettiva ed anche di educazione ai valori ed ai principi rivoluzionari facendo leva non solo su una partecipazione intellettuale ma anche su un coinvolgimento emotivo e sentimentale in grado di avvicinare alla politica e sensibilizzare anche quella parte della popolazione meno colta ed istruita.
Il 18 maggio 1808, in occasione della festa di San Venanzo, il vescovo Buttaoni autorizza un “solenne Te Deum dopo i secondi vespri, obbediente, sembra, a suggerimenti di qualche giacobino, per ringraziare la divinità del cambiamento di governo”8. Accorrono il podestà, i magistrati, la nobiltà in parte costretta “per non andare incontro a funesti accidenti”9. Il 27 maggio, anniversario della incoronazione, fu celebrata una analoga funzione, questa volta senza la presenza della nobiltà10. In occasione della festa pubblica per la promulgazione del codice napoleonico, viene organizzato un banchetto nel palazzo priorale. Si svolge anche un’accademia privata in “casa Guerrieri, con l’intervento di molte dame, nubili e maritate”11, in cui viene cantato “un inno composto dal dottor Pierrazzi e musicato da Bernardo Bittoni valente direttore della Cappella della Cattedrale; la poesia fu giudicata debolissima, la musica forte e brillante”12. Seguiranno poi, in altre occasioni, Cantate in lode di Napoleone il Massimo, feste di ballo per l’onomastico del sovrano. Il 1809 si apre con una festa di capodanno, “con una Messa Solenne in musica, presenti tutte le autorità, per impetrare il felice parto della vice regina”13. Segue il giorno 11 un Te Deum per la presa di Madrid. Nel Giugno viene organizzata un’accademia nel palazzo priorale, “alla notizia della presa di Vienna, luminarie e concerti per le vie, festa di ballo a Teatro, poco affollato. Il Loggiato di S. Francesco era illuminato con molti fanali, l’ultima loggia era guarnita con damaschi e spiccava nel mezzo, sul trono con baldacchino, il ritratto dell’imperatore14. E poi innumerevoli feste per inneggiare alla pace tra Francia e Austria; nel 1810 per il matrimonio di Napoleone, nel 1813 un Te Deum per il concordato col Papa, e poi per festeggiare il parto dell’imperatrice. Degno di nota il fatto che a queste feste accorreva “di tutta sorta di gente, anco le più vili, che, cosa che più affliggeva il nobiluomo, passeggiavano con la nobiltà senza veruna distinzione”15.
La vita quotidiana e i giochi
Il governo napoleonico disciplina anche alcuni aspetti della vita quotidiana come ad esempio quello del rintocco delle campane: nel febbraio 1812 vengono emanate alcune norme, probabilmente dettate da un’istanza politica più laica, che proibiscono ai sagrestani di suonare le campane dall’una di notte al mattino. Negli anni successivi alcune amministrazioni liberali, raccoglieranno l’esempio napoleonico, e disciplineranno a loro volta il suono delle campane imponendo la mordacchia al batocco, quasi in segno di laicismo16.
Numerose le mode di importazione francese che giungono a Fabriano attraverso il diretto contatto con politici, dignitari e milizie. Ad esempio “nel 1808 il conte Luigi Chelli Pagani porta a Fabriano il gioco della rollina (roulette) , che installato in un negozio presso l’arco del palazzo apostolico, ha molta fortuna. Fu, secondo il Giampè, una vera truffa i cui effetti sull’economia cittadina furono, a suo giudizio, forse esagerato, più rovinosi del sacco del 1799”17.
Nel 1810 il cavallerizzo francese Tournier, riceve il permesso di allestire per tre giorni dei giochi di equitazione. Nonostante le resistenze del vescovo, vengono autorizzati dall’amministrazione gli spettacoli nel chiostro della Cattedrale e riscuotono un grande consenso di pubblico18.
La musica e il teatro
La pratica della musica a Fabriano in quegli anni segue passo passo questi cambiamenti, crescendo l’interesse per la musica strumentale e i trattenimenti teatrali, rispetto a quelli melodrammatici dell’opera seria, allegorici e oratoriali che contraddistinguono il gusto fabrianese barocco dal 1692, ovvero dalla nascita del “Teatro dell’Aurora”. Rilevante è il materiale oggi conservato nell’archivio della Cappella della Cattedrale proveniente dall’archivio della Cappella Musicale della Collegiata San Nicolò, in quegli anni diretta dal ravennate Don Raffaele Sirmen (1741-1809), che contiene oltre a numerose opere a stampa e manoscritte di quel periodo, (Stamiz, Boccherini, Haydn), numerosi lavori strumentali, sinfonici e da camera dello stesso Sirmen, che testimoniano un gusto modernissimo all’interno del contesto della Cappella. Non mancano i consueti lavori in stile antico e severo nella musica sacra ivi conservata. L’intrattenimento strumentale aperto al pubblico diventa un valore aggiunto anche nelle feste delle celebrazioni religiose che ospitavano dei momenti più “leggeri” destinati all’esecuzione pubblica; lo testimoniano i quattro concerti per strumento solista e orchestra, due per flauto, uno per corno e uno per Violino; si tratta di concerti di gusto francesizzante, (uno con Rondò e Menuet finale), in cui l’autore si firma “Monsieur l’ Abbé Rafael Sirmen”, scritti per un organico da orchestra classica, archi e due corni ad libitum.
Sia i registri dei pagamenti agli orchestrali sia le parti staccate di suddetti concerti presentano le interessanti indicazioni di concerto e di ripieno che rivelano un’ampia compagine orchestrale nella Cappella della Collegiata. Anche altre opere sacre di Sirmen, come il “Dixit Dominus con flauto e violoncello”, testimoniano il gusto per la nuova musica strumentale e l’abbondanza di questi strumenti nei concerti e nelle funzioni.
I due liutai fabrianesi Antonio Ungarini (1745-1795) e il figlio Raynaldo, attivo a Fabriano tra il 1800 e il 1808, detti gli “Stradivari delle Marche”, in quegli anni, in città, avevano una committenza che andava ben al di là di quella nobiliare, tanto che ancora oggi la musica folcloristica del fabrianese è studiata come l’unica isola delle Marche che utilizza violino e “violone”( popolare ottenuto spesso dall’imitazione o modificazione del violoncello) nella propria connotazione folclorica.
Anche il teatro, orientato fino ad allora a spettacoli di tipo allegorico, fruibili principalmente dai ceti nobiliari che ne potevano apprezzare le metafore e le storie trattate, cede il passo a spettacoli di tipo amatoriale, allestiti da locali filodrammatiche dalle discutibili qualità attoriali, come nel caso della commedia rappresentata nel gennaio del 1811 che vedeva recitare insieme diverse personalità della nobiltà, dell’alta borghesia, commercianti e artigiani. La rappresentazione fu definita “scemenza” dal viceprefetto e dileggiata e criticata dai notabili del luogo19.
Per tutto il secolo precedente i numerosi libretti degli spettacoli oratoriali religiosi, tenuti nelle feste patronali o nelle feste estive della Madonna, testimoniano un’opera costante di poeti librettisti e musicisti nel mantenere la tradizione attraverso riferimenti al Giano20 e altre locali allegorie, ma poi, dal secolo successivo, queste diradano a favore di un melodramma più internazionale o di altri trattenimenti. Nonostante il Sassi affermi che anche durante il governo precedente i fabrianesi partecipavano agli spettacoli teatrali nel Teatro dell’Aurora, è possibile riscontrare un cambiamento delle modalità di partecipazione e della diminuzione dei filtri sociali che selezionavano il pubblico degli spettacoli civili e religiosi, non senza lo spocchio o il risentimento dei ceti nobiliari per lesa majestatis.
Dopo questa parentesi napoleonica la città vede susseguirsi, nel giro di circa due anni, il governo provvisorio di Murat, cognato di Napoleone, la breve occupazione austriaca e infine la restaurazione dello stato della Chiesa nel 1815, anno nel quale vengono ripristinati conventi e monasteri e gran parte del clero torna alle consuete attività. Questo rapido susseguirsi di governi è curiosamente descritto dal Giampè che racconta la stravagante metamorfosi che subisce una vecchia tela abbandonata in un magazzino polveroso: con l’avvento del regime napoleonico il pittore Filippo di Rocco trasformò un ritratto di un prelato, (i prelati erano ormai caduti in disgrazia durante la dominazione francese), nella figura di Napoleone. Quando anche “la meteora napoleonica scomparve dal cielo e, apparsa per breve tempo la stella di Gioacchino Murat, il podestà Bonomi chiamò il pittore Serafini e per il modesto compenso di tre scudi gli diede incarico di trasformare il grande Còrso nel cognato presuntuoso e preteso re di Napoli e usurpatore delle Marche”. Poco dopo, con l’arrivo degli austriaci, sempre per mano di Filippo di Rocco, re Gioacchino fu magicamente tramutato in Francesco primo imperatore21.
Anche se, in molti casi troppo superficialmente, attraverso mode, costumi più o meno forzatamente indotti, tra mille contraddizioni ed esteriorità, stavano germinando forme diverse, nuovi linguaggi, da cui attingeranno le successive esperienze culturali e politiche della nostra città.
1 O.Angelelli, Fabriano e il dominio francese nel 1798-99, Fabriano 1925, p.83
2 D.Pilati, Storia di Fabriano, 1985
3 O.Marcoaldi, Guida e statistica della città e comune di Fabriano, 1873. Il Giano era cresciuto di 34 palmi. L’alluvione del 1807 aveva interessato Porta Cervara, con quattro morti, 23 case e sei logge allagate a piazza Bassa.
4 A.Ricci, Sulla pastorizia e sua migliorazione nel distretto di Fabriano mediante la coltivazione dei Merini ossieno pecore spagnuole, Fabriano 1808. In questa memoria del colonnello Augusto Ricci, membro della Reale Società Economica di Finlandia ed uno dei fondatori della Reale Società di Napoli si dice: “Mille avvenimenti, e le meteore stesse hanno cospirato alla rovina di questa infelice Città. Il giorno 17 settembre 1807, un’alluvione spaventevole inondò gran parte della medesima, e rovinò la massima porzione degli edifizi che furono i più esposti al furor delle acque, con gran danno dei loro rispettivi proprietari per lo più conciatori di pelli, e ritraenti la loro sussistenza da quest’arte. La Popolazione tutta ne ha sofferto in maniera indicibile.”
5 E.Sori, Merloni, da Fabriano al mondo, Egea 2005
6 R.Sassi, Vita fabrianese a cavallo di due secoli, Arti grafiche Gentile, Fabriano 1956, pp.95-96. Il giudizio sul governo napoleonico è dell’“antigallico” Antonio Giampè
7 Ibid. p.63. Il prof. Sassi attinge dal ricco e voluminoso diario del conte Antonio Giampè che svela i retroscena della vita politica fabrianese nel periodo giacobino e napoleonico
8 R.Sassi, op.cit. p. 64
9 Ibid. p.64
10 Ibid. p.65
11 Ibid. p.65
12 Ibid. p.65
13 Ibid. pp.65-66
14 Ibid. p.66
15 Ibid. p.70
16 Ibid p.94
17 Ibid. pp.103-104
18 Ibid. p.103
19 Ibid. p.104
20 Nell’Archivio Ramelli, accuratamente catalogato e in gran parte trascritto da Paolo Selini, sono presenti diversi libretti di oratori per musica, come il “Trionfo di Maria nel Giano” componimento sacro da cantarsi in Fabriano nell’anno 1793
21 R.Sassi, op.cit. pp.127-128