Tra le carte degli antichi manoscritti conservati presso la Biblioteca “R. Sassi” di Fabriano si cela un
curioso particolare, ancora inedito, sulla strage della famiglia Chiavelli.
L’efferato episodio, riportato con dovizia di particolari dalle fonti storiche e ricostruito magistralmente dal prof. Romualdo
Sassi nei suoi scritti
[1]
, è ben noto.
Il 26 maggio 1435, durante la celebrazione dell’Ascensione nella Chiesa di San Venanzio, si compì la congiura ordita dai
cittadini fabrianesi per liberare la città dal dominio della signoria dei Chiavelli. Le diverse fonti che tramandano la vicenda
riportano molti particolari
[2]
, permettendoci di ricostruire passo dopo passo i momenti concitati che hanno segnato con il
sangue una cruda pagina di storia della nostra città. Conosciamo non solo il giorno, ma anche il momento in cui i cittadini
fabrianesi hanno sferrato l’attacco, conosciamo i loro nomi come anche il nome del parroco che quel giorno stava
celebrando la funzione, Don Giovannino di Matteo, che risulta nell’elenco dei congiurati perché sospettato di essere a
conoscenza dei fatti. Conosciamo anche il nome di tutti i signori della famiglia Chiavelli presenti alla funzione, colpiti uno
dopo l’altro dalla furia del popolo oppresso: l’anziano Tommaso, il figlio Battista, gli altri membri della famiglia sino ai più
giovani, teneri virgulti, Chiavello, Alberghetto, Ridolfo… tutti assisi nel grande coro ligneo della Chiesa di San Venanzio,
oggi trasferito e visibile nella vicina chiesa di San Benedetto.
Le varie fonti citate concordano sul fatto che i congiurati, nel momento in cui avrebbero dovuto dare
avvio all’atto, presi da timore e incertezza, si fossero persi d’animo. Fin quando il movimento di uno dei
congiurati scelti, Giacomo di Nicolò, alzatosi semplicemente per conferire con il compagno Nanni
d’Urbano, venne preso come segno e fu proprio quest’ultimo che balzò in piedi dando avvio al sanguinoso
attacco gridando “Viva la libertà, muoiano i tiranni!”.
Un particolare sembra però sfuggire alla narrazione della strage, forse non valutato attendibile dalle fonti
e dal Sassi stesso. Eppure la sua presenza tra i volumi manoscritti conservati nella biblioteca fabrianese
richiama la nostra attenzione. Si tratta del manoscritto Mss.185, un codice cartaceo di 123 carte databile
alla seconda metà del XVII secolo. Il manoscritto è costituito da una raccolta di testi la cui unità
principale è rappresentata da “Dell’Historie di Fabriano di Fra Giovanni Domenico Scevolini da
Bertinoro della venerabile religione di S. Domenico”. Segue, a carta 47a, l’elenco dei congiurati che
parteciparono all’eccidio della famiglia Chiavelli. Tra gli altri vi si leggono chiaramente i nomi citati poco
sopra come Don Giovannino prete di San Venanzio e Giacomo di Nicholò di Berto. Sono citati nell’elenco
anche coloro che non furono effettivamente presenti, come Bellitto di Migliore, fu chiamato la matina che
andasse a San Venanzo rispose di non potere per essere indisposto, ed un certo Urbano di Bentivenga che
stava per guardia nella Porta del Piano. Il lungo elenco di nomi dei partecipanti alla congiura è stato
trascritto in un atto datato novembre 1436 e sottoscritto dal notaio Antonio da Venarotta. L’atto non ci è
pervenuto in originale ma in una tarda trascrizione contenuta nel manoscritto citato.
Dopo il lungo elenco di nomi, che occupano il recto e il verso della carta 47a, segue l’annotazione di
nostro interesse, oggetto di questo breve articolo:
Li congiurati s’erano perso d’animo, si fece avanti una donna vecchia chiamata Belardina di Brodella
d’Attiggio, si cavò una pianella dal piede poi la tirò in faccia al Sig. Giovanni Battista Chiavelli, e quelli
cominciarono tutti. Gli fu fatto questo privileggio dalla comunità a tutta la sua casa.
Anche se l’episodio narrato in queste poche righe non compare nelle tradizioni manoscritte attestate, si
resta indubbiamente colpiti dalla semplicità e dalla schiettezza del gesto della donna al culmine delle
tensioni che serpeggiavano in quella lontana giornata di maggio del 1435.
Servirebbero altre e più approfondite ricerche in archivio per affermare con certezza se sia effettivamente
vissuta una donna Belardina di Brodella di Attiggio e quale sia stato il suo ruolo nella vicenda. Ma grazie
a quelle poche parole tracciate su un foglio da anonima mano, possiamo immaginare e rivivere lo
svolgimento dei fatti con una luce effimera, forse fallace, ma affascinante. Tra le poche righe riusciamo a
leggere la rabbia di questa donna, lo sguardo ostinato e coraggioso, le braccia forti e persino le sue vesti, e
facilmente si dipinge nel nostro immaginario anche il gesto in cui si toglie la pianella, la calzatura con
suola in legno o sughero in uso durante il Medioevo, scagliandola direttamente contro il signor Battista
Chiavelli.
Ed è proprio questo il dono più prezioso che ci concedono i nostri archivi e le nostre biblioteche, quello di
farci leggere parte del nostro passato sopito nelle memorie, nei documenti, nelle testimonianze che si
celano all’interno dei nostri istituti culturali, per poter gettare una luce, talvolta fioca, altre volte rilucente,
sulla nostra storia.
Patricia Bartoccetti
[1]Romualdo Sassi, I Chiavelli, conferenza detta dal prof. Romualdo Sassi nella sala del circolo Gentile di Fabriano per
iniziativa del comitato fabrianese della Società nazionale Dante Alighieri il 17 dicembre 1934, Fabriano, Arti Grafiche
Gentile, 1934.
[2]Tra le fonti note più antiche che riportano il fatto ricordiamo Dell’Historia fabrianese di Giovanni Domenico da Bertinoro,
detto Scevolini, manoscritto conservato presso la Biblioteca “R. Sassi” di Fabriano. L’Historia è stata stampata nel 1792 a
cura dell’abate Giuseppe Colucci nel vol. XVII delle Antichità Picene, disponibile anche in ristampa anastatica. Si citano
inoltre gli Annali del De Vecchi, manoscritto conservato presso la Biblioteca “R. Sassi” di Fabriano e uno scritto anonimo,
copiato da un certo D. Andrea Lippera nel XVIII secolo oggetto di studio del prof. Romualdo Sassi nel saggio Un’antica
narrazione inedita dell’Eccidio dei Chiavelli, Fano, 1932.